Era il 31 dicembre 2019 quando il cuore del 28enne Antonio Raddi, detenuto per rapina e maltrattamenti nel carcere di Torino, smetteva di battere sotto gli occhi dei sanitari che avevano tentato fino all’ultimo di rianimarlo. Ora le circostanze di quella morte, conseguenza di un’infezione polmonare, sono finite in una consulenza tecnica medico-legale disposta dalla Procura di Torino, che ha aperto un fascicolo per omicidio e lesioni colpose. L’obiettivo è accertare se un simile epilogo potesse essere evitato. In passato i pm avevano chiesto per due volte di archiviare la posizione di quattro medici penitenziari: il 10 dicembre, quando già versava in uno stato di “grave deperimento” e tra le mura del carcere si spostava in sedia a rotelle, Raddi rifiutò il ricovero presso il ‘repartino’ dell’ospedale Molinette. Ricovero che secondo i periti avrebbe permesso di curare per tempo l’infezione e salvargli la vita. In sostanza, è la tesi, quel rifiuto ha interrotto il “nesso causale” tra le condotte dei medici e l’evento morte.

È di diverso avviso la famiglia Raddi, che a quell’archiviazione si è opposta attraverso i legali Gianluca Vitale e Federico Milano (il gip Luca Del Colle si è riservato e dovrà decidere a giorni): per i genitori e la sorella, le condizioni del giovane avrebbero dovuto allarmare il personale sanitario già da fine agosto, quando aveva perso oltre 13 chili dall’ingresso in cella (arriverà a meno 25 tra fine novembre e dicembre). A segnalare lo stato del detenuto anche la Garante dei detenuti del Comune di Torino, che aveva parlato con lui più volte e inviato una ventina tra email e lettere protocollate in cui chiedeva provvedimenti urgenti ai vertici. La tesi della famiglia ora parrebbe trovare conforto nelle conclusioni messe nero su bianco dai periti: “Risulta il difetto di approfondite verifiche che, in corso di dimagrimento del detenuto, dovevano essere attuate quantomeno dal mese di settembre-ottobre 2019. Se messi in atto, avrebbero potuto arginare lo stato di malnutrizione”.

Ad aprile 2019 Antonio Raddi, che sin dall’adolescenza soffriva di ansia e depressione ed era seguito da un Serd per via della tossicodipendenza, era tornato in carcere dopo essere evaso dalla comunità terapeutica dove stava scontando una condanna definitiva. Dopo aver già perso oltre 30 chili dal primo ingresso in carcere, a Ivrea, aveva continuato a perdere peso anche nella casa circondariale di Torino, pur essendo monitorato periodicamente da medici, addetti del Serd, educatori e psichiatri. Al personale aveva raccontato a più riprese delle grosse difficoltà che aveva nell’assumere cibo, della nausea continua e del dolore alle gambe. Tutte circostanze che trovano riscontro nei referti redatti da medici e infermieri, dove si riportano episodi di vomito, svenimenti e un trauma cranico che si era procurato cadendo, quando le gambe non lo reggevano più. Le stesse relazioni segnalano anche il rifiuto verso le cure, a partire dalle semplici flebo: per i consulenti della Procura inscindibile dal “quadro psicoemotivo del soggetto”, che soffriva di disturbi dell’umore e veniva trattato con massicce dosi di metadone.

Se in un primo momento questo atteggiamento era stato scambiato per una strategia mirata a ottenere l’incompatibilità con il carcere, a fine novembre i sanitari del carcere avevano preso in mano la situazione e programmato il ricovero nel ‘repartino’ dell’ospedale Molinette, poi slittato al 10 dicembre e rifiutato dal diretto interessato benché fosse gravemente denutrito e debilitato. Il 28enne avrebbe poi raccontato che temeva di impazzire in un posto in cui non è prevista l’ora d’aria. Quella presa in carico “avrebbe consentito di identificare con alcuni giorni di anticipo un processo infettivo ancora latente”. Invece passano i giorni e quando arriva al pronto soccorso, il 14 dicembre, le condizioni di Raddi sono ormai compromesse. Il decesso avverrà per arresto cardiaco alla vigilia di Capodanno, causa shock settico innescato da un comune batterio presente nell’intestino. Che tuttavia può risultare fatale nelle persone immunodepresse, com’era il giovane dopo mesi di malnutrizione.

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