Continua a chinare la testa avanti e indietro, avanti a indietro, il padre di Noa. Ha visto il filmato, lui e tutto il mondo, in cui sua figlia viene portata via da due uomini, su una motoretta. Le sta accadendo qualcosa a cui non può credere, né reagire. Ha occhi di gesso. La prendono e la portano. Merce, bottino, carne.

Davanti a un’altra telecamera, suo padre ora ha lo stesso sguardo spaventato e sperduto. Ci crederesti? Ci crederesti mai che senza un perché, in un sabato qualunque, l’hanno inghiottita? E poi la bocca: padre e figlia hanno la stessa identica bocca accartocciata, aperta ma che non sa urlare. I neonati muovono le labbra in quel modo, l’istante prima di piangere. Viene male al petto. Quale padre meriterebbe tanto?

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Continua a scuotere le braccia in alto e in basso, in alto e in basso. Regge il corpo violastro di una bambina, avrà 10 anni, e le labbra livide, intrise di calcinacci. Era al mercato di Jabalya, a Gaza, quando l’hanno inghiottita per sempre, da un aereo. Strascico, avanzo, carne. Dio mio, ma è così piccola!

Davanti a una telecamera quest’uomo ne solleva il cadavere e urla, urla come un ossesso con le vene del collo rigonfie. Potrà mai perdonare? È possibile anche solo immaginare l’altezza di un perdono?

La ragazzina ha la pelle asciutta di vita e di polvere, lui ha lacrime aggrappate al bordo degli occhi. I bambini, quando vogliono sentirsi grandi e resistere al dolore per non piangere, hanno quegli occhi lì. Quale Dio lo vorrebbe mai?

Oggi, tra le distrazioni del mio telefono, rimbalzano paralleli questi due uomini stracciati, opposti e così uguali. Chissà se uno conosce il dolore dell’altro, chissà se glielo augurerebbe mai. Loro sono martiri e sono comunque, a prescindere, per il solo fatto d’esistere, colpevoli. In guerra ogni uomo è così. Perfino chi ha sganciato la bomba, che ha solo eseguito un ordine; perfino chi ha dato l’ordine, che non ha visto la bomba cadere.

Non c’è soluzione a questa guerra. Mentre ciascuno fuori da quel mondo predica pace e dice No e si indigna e prega e reclama interventi e teme interventi, la verità è che non c’è soluzione. La pace non è possibile, non può proprio esistere. “Si potesse almeno non morire”, recita una preghiera.

Fa molta paura. E più ancora fa paura l’impossibilità di una speranza. E ancora oltre, di più a me fa paura sapere con certezza impassibile che tra qualche giorno, un paio di settimane al massimo, ci abitueremo anche ai volti di questi due padri e di altri come loro e dopo di loro. La guerra, ci diremo, è normale. Saremo assuefatti, e saremo pure infastiditi. Lasciateci in pace, noi che possiamo permettercene una.

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