Israele è un pezzo di Europa trapiantato nel sud est del Mediterraneo, all’avanguardia in molti campi. Attraverso i suoi bandi, l’Unione Europea chiede che le comunità scientifiche dei suoi paesi, inclusa Israele, collaborino con quelle dei paesi della sponda sud attuando una diplomazia scientifica che mira alla comprensione tra i popoli e a un diffuso progresso.

Gaza ha ottime Università, con eccellenti ricercatori ma, in genere, i palestinesi hanno altro a cui pensare, prima di dedicarsi alla ricerca scientifica. Se dovessi vivere sulla sponda sud del Mediterraneo, non avrei dubbi: sceglierei Israele, dove la democrazia prevede che nel Parlamento ci sia un partito palestinese, dove una forte opposizione interna critica la politica di Israele che occupa territori, distrugge case con i bulldozer, stabilisce insediamenti nelle terre “conquistate” e compie migliaia di omicidi mirati.

Yitzhak Rabin operava per la trattativa con i palestinesi, riconoscendone le ragioni. Per questo vinse il Premio Nobel per la Pace assieme a Yasser Arafat. Un estremista ebreo-israeliano lo uccise durante una manifestazione per la pace. Da una parte ci sono israeliani che vogliono la pace e la trattativa, e altri che non ascoltano ragioni e non riconoscono i diritti dei palestinesi, come Benjamin Netanyahu, l’attuale capo del governo israeliano. Dall’altra parte Hamas vince le elezioni: un partito di destra che ha come obiettivo la distruzione di Israele. La destra radicale israeliana non riconosce i diritti della Palestina, la destra radicale palestinese non riconosce i diritti di Israele.

Durante una visita in Egitto, un ricercatore mi spiegò i problemi palestinesi. La parola “problemi” è un eufemismo: l’Onu da decenni usa la formula “violazioni dei diritti umani”. I palestinesi, mi disse il collega egiziano, non hanno le tecnologie e la potenza degli israeliani. Ma stanno crescendo di numero in modo prorompente: non riusciranno ad ucciderli tutti e, alla fine, prevarranno e faranno valere i loro diritti negati. Chi vuole la pace e la trattativa perde le elezioni da entrambe le parti, e lo scontro si inasprisce. Chi non ha aerei che lanciano missili, bulldozer e carri armati, usa i deltaplani.

Non ho amici nella Striscia di Gaza, ne ho molti in Israele. Sono in angoscia per loro. Una collega mandava i figli a scuola su autobus diversi. Se esplode una bomba su un pullman e uno muore, mi rimane l’altro. In casa hanno i rifugi di sicurezza. Non è vita. Come non è vita quella dei palestinesi che si vedono abbattere la casa o sono uccisi da un drone. Come se i droni uccidessero: non sono uccisi da un drone: sono uccisi da un assassino che operava un drone. Non si dice “ucciso da un pugnale”, si dice “ucciso da un assassino armato di pugnale”.

Oggi gli israeliani sono vittime e a loro deve andare il nostro pensiero, prima di ogni altra cosa. Ma la storia non si cancella. Anche noi abbiamo un debito nei confronti degli Ebrei: le leggi razziali. L’Europa, con l’Inghilterra, decise di dare una patria al popolo ebraico. Giustissimo. Da geopolitico distopico da divano, mi chiedo: come mai non è stata data agli Ebrei una porzione di Germania? Quando vivevano in Europa non si sentivano fuori posto, prima del nazifascismo nessuno di loro anelava a trasferirsi in quello che ora è lo Stato di Israele. Il debito storico dell’Europa nei loro confronti è stato saldato con le terre dei Palestinesi, non con quelle dei responsabili della Shoah, inclusi noi.

Non è pensabile, oggi, proporre di trasferire gli Ebrei in Germania e di creare lì lo stato di Israele, lasciando ai Palestinesi le loro terre. Ma non è neppure pensabile che i Palestinesi continuino a restare senza terre e senza diritti. I Palestinesi stanno sopportando ingiustizie da troppo tempo e le loro reazioni portano a spirali di attacchi e contrattacchi senza fine.

Sotto lo Scià Rheza Pahlavi la Persia subì gravi repressioni. Lo cacciarono, la Persia diventò Iran e per qualche mese fui felice del ritorno degli ayatollah dall’esilio a Parigi. La felicità durò poco. Lo stesso con la Primavera Araba: grandi speranze, rimaste deluse. Le cose non vanno mai come vorremmo che andassero, basta guardare quel che sta succedendo in Afghanistan, in Ucraina, nel Nagorno Karabak, in Libia e in Siria, e potrei continuare a lungo, ad esempio con l’Urss di Gorbaciov che diventa Russia e passa a Putin.

Spesso gli occidentali “mettono le cose a posto”, fanno un casino e poi se ne vanno, lasciando situazioni ancora peggiori. Come in Iraq, dove l’impiccagione di Saddam ha rivitalizzato il terrorismo di Al Quaeda. Pare che sia andata bene in Vietnam, dopo la cacciata degli invasori Usa che presentavano come terroristi i Viet Cong; terroristi erano i nostri Partigiani per i nazifascisti, e terroristi erano gli algerini che combattevano i colonizzatori francesi. Non c’è pace se non c’è giustizia. Oggi Israele è vittima del carnefice Hamas, ma non si può capire quel che avviene se l’analisi dei fatti parte da oggi: gli eventi di oggi sono causati dagli eventi di ieri.

Ancora troppi paesi non si sono liberati dal fanatismo religioso attraversando l’età dei lumi. A noi c’è voluto un secolo, e ci siamo arrivati da soli. Intanto a ottobre ci sono 30 gradi, sta evaporando molta acqua dall’oceano: prima o poi scenderà, e non sarà una pioggerellina rinfrescante. L’era delle conseguenze sta arrivando e noi, invece di compattarci e unirci, ci scanniamo.

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