“I paesi che sono nostri fratelli vogliono mantenere il Libano al sicuro dalle ripercussioni della situazione esplosiva nei territori palestinesi”. Inizia così, il breve comunicato che il primo ministro reggente del Libano, Najib Mikati, ha rilasciato nel tardo pomeriggio del 9 ottobre, mentre a poche decine di chilometri a sud di Beirut l’inferno prendeva nuovamente forma. Parole e toni – “la tranquillità e la stabilità sono le priorità del governo” – che raccontano della nota prudenza nel sintetizzare la pluralità delle opinioni delle diverse anime del Libano, pur definendo l’operazione di Hamas come una “conseguenza inevitabile dell’approccio israeliano alle istanze e alle legittime aspirazioni palestinesi”, ma anche uno Stato in debilitante stand-by, che spera nel senso di responsabilità altrui, affaticato dalla crisi economica e paralizzato dallo stallo istituzionale, riflessa su una politica estera quantomeno debole, timida.

Cauta, perché nel sud del Paese 24 ore prima c’era stata la prima schermaglia tra Israele ed Hezbollah, alleato di Hamas, che alle prime luci dell’alba aveva sparato tre razzi contro una postazione dell’Esercito israeliano nelle Sheba’a Farms, occupate da questi ultimi dal 1967, in una azione dimostrativa che rientra in una sorta di implicito protocollo con Tel Aviv, la quale ha risposto con fuoco d’artiglieria nei pressi di alcuni villaggi del sud del Libano, distruggendo poi una postazione mobile, presumibilmente del partito-milizia filo iraniano; ma forse anche a causa dell’ormai acquisita consapevolezza di quel che sarebbe potuto accadere dopo.

Ieri, infatti, nel sud del Libano la quiete è stata violata a più riprese: nel primo pomeriggio alcuni miliziani del movimento del Jihad islamico sono penetrati al di là del confine dal territorio libanese, a cui le Idf hanno risposto uccidendoli e poi bombardando con artiglieria ed elicotteri nei pressi dei villaggi libanesi di Aita al shab, Bayt Lif, Bint Jbeil, Qouza e Dhayra. Sul campo, come annunciato dalla stessa Hezbollah, sono rimasti uccisi anche tre miliziani della formazione sciita, che ne ha dato annuncio sui canali di Al Manar, la propria emittente: Mohammad Ibrahim, Ali Raif Ftouni e Ali Hassan Hodroj. Ferito anche un soldato dell’Esercito libanese nei pressi di Rmeish.

Secondo le testimonianze di media locali, decine di residenti del sud hanno poi iniziato ad evacuare l’area, spostandosi verso nord, mentre nel tardo pomeriggio colpi di mortaio dal lato libanese sono stati indirizzati verso le caserme israeliane di confine di Avivim e Braniat, causando dei feriti e uccidendo un comandante della Brigata 300, seguiti poi da ulteriori incursioni degli elicotteri, dei droni e dei jet israeliani, che hanno anche lanciato alcune bombe incendiarie, provocando un incendio nelle foreste meridionali del sud del Libano.

La missione Unifil – in contatto con entrambe le parti per cercare di “esercitare pressione volta ad evitare una escalation“, riferisce il loro portavoce, Andrea Tenenti – ha fatto poi circolare anche messaggio di warning presso il personale delle Nazioni Unite impegnato nell’area, che invitava a rimanere chiusi nei bunker disponibili o ad allontanarvisi. È difficile capire se Hezbollah intenda prendere parte alle ostilità a pieno titolo: il segretario generale Hassan Nasrallah aveva “salutato” i razzi sparati verso le Sheba’a farms come un segnale di “solidarietà” ai miliziani di Gaza, premurandosi di non usare espressioni che annunciassero l’ingresso nel conflitto, ed in seguito alludendo ad una maggiore partecipazione in caso di decisione israeliana di invadere via terra Gaza.

Tuttavia anche questa eventualità – che appare sempre più probabile, visti gli annunci del ministero della Difesa israeliano Yoav Gallant, nonché l’accumulo di truppe presso il confine di Gaza e i preavvisi a circa 300mila riservisti – non assicura che il partito sciita tenterà incursioni consistenti nelle prossime ore, le quali potrebbero aprire definitivamente il secondo fronte. Si potrebbe quindi assistere per il momento ad un conflitto a bassa intensità, con razzi e colpi di mortaio dal lato libanese e una prosecuzione dei bombardamenti israeliani nei villaggi del sud del Libano.

Di sicuro, il debole governo libanese spera in un mantenimento delle ostilità al di sotto del livello di guardia, come confidato dal ministro degli Esteri Abdallah Bou Habib al quotidiano Alsharq al Awsat, il quale ha reso noto che Hezbollah stessa avrebbe promesso a Beirut di non voler intervenire nella guerra tra le formazioni palestinesi e Israele, e così sperano gran parte dei libanesi, che vedono i fantasmi della guerra del 2006. Il Libano oggi si è svegliato avvolto da un forte temporale: particolarmente intenso a Beirut, dove i rumori dei tuoni accompagnano il brusio della metropoli, ed ancor più a sud di Sidone, dove gli stessi rumori si mischiano a quelli dei colpi di artiglieria che viaggiano sul confine sud.

(nella foto sostenitori di Hezbollah manifestano per Gaza)

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