Un disguido burocratico durato un paio di giorni, il tam tam mediatico che diventa caso nazionale e anche politico, e alla fine la precisazione ufficiale, per sgombrare il campo da pericolosi equivoci, o semplicemente fare chiarezza sul solito accavallamento di norme: no, lo ius soli sportivo non è stato abolito dalla Figc, dal Governo Meloni o altra istituzione. I minori figli di immigrati potranno continuare a giocare, anche se privi di cittadinanza, come qualsiasi italiano. Tutto nasce dalla storia del Progetto Aurora, squadra di Reggio Emilia che aveva dovuto rinunciare a partecipare al campionato locale per non essere riuscita a tesserare otto ragazzini extracomunitari, il cui tesseramento era stato bloccato in fase di iscrizione. La denuncia del presidente aveva dato subito adito a speculazioni politiche sull’abolizione dello ius soli sportivo, con tanto di interrogazione parlamentare minacciata dal Pd. In realtà le cose non stavano proprio così.

Lo ius soli sportivo esiste dal 2016: anticipato da alcune Federazioni (IlFatto.it ne aveva scritto per la prima volta nel 2013) voluto fortemente dal Coni, prevedeva la possibilità per i minori stranieri residenti in Italia “almeno dal compimento del decimo anno di età” di essere tesserati “con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”. Questo non risolve il problema della cittadinanza (per cui devono comunque aspettare il compimento del 18° anno, non potendo quindi vestire la maglia azzurra fino alla maggiore età), però almeno permette di praticare l’attività agonistica e partecipare ai campionati senza problemi. La norma è stata cambiata negli ultimi anni con la famosa riforma dello sport che ha attraversato diversi esecutivi e maggioranze di ogni colore, approvata sotto forma di delega addirittura dall’ex governo gialloverde, scritta dall’ex ministro Spadafora, licenziata dalla sottosegretaria Vezzali sotto Draghi, e infine entrata in vigore a luglio (di qui la confusione sulla svolta che sarebbe stata dettata da Meloni). Il testo supera in effetti il cosiddetto ius soli sportivo, ma non in senso restrittivo, anzi: stabilisce che i minorenni, anche se non in regola con le norme d’ingresso nel Paese, possono tesserarsi semplicemente dimostrando la frequenza da almeno un anno nelle scuole italiane. Un passo avanti, dunque, non indietro.

Che cosa è successo allora al Progetto Aurora? Un semplice errore materiale. Anche a seguito della riforma, secondo le ultime indicazioni emanate dalla FederCalcio, il tesseramento avviene su due piattaforma differenti a seconda dell’età: fino al 10° anno la documentazione va inviata al Comitato regionale locale, oltre il 10° anno sul sistema servizi della Figc, dove è stata istituita un’apposita commissione a garanzia dei minori. Solo per i minori sotto i 10 anni e senza l’attestato di frequenza scolastica è previsto un rinforzo di documentazione (certificazione di residenza con la responsabilità genitoriale, permesso di soggiorno valido o in fase di rinnovo), per debellare il fenomeno della tratta di baby talenti. I dirigenti del Progetto Aurora si sono visti il tesseramento bloccato per aver seguito l’iter aggravato, che però non era necessario ai suoi ragazzini. Di qui la confusione e le polemiche. Probabilmente la normativa, soprattutto per chi non fa sport a fini agonistici, andrebbe ulteriormente snellita. Comunque ci ha pensato la FederCalcio a chiarire una volte per tutte la questione: “I calciatori stranieri, minorenni, che sono iscritti da almeno un anno ad una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, seguono, ai fini del tesseramento, le stesse procedure dei minorenni italiani, a condizione che provino, come richiesto dalla legge, l’iscrizione scolastica“, recita una nuova circolare inviata a seguito di “alcune erronee interpretazioni” . Lo ius soli sportivo – se così vogliamo chiamarlo – esiste ancora.

Twitter: @lVendemiale

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