Il 26 settembre è il Petrov Day. “Ovunque tu sia, qualsiasi cosa tu stia facendo, prenditi un minuto e pensa a che fare per non distruggere il mondo” scrisse sul blog Less Wrong il guru del neo razionalismo Eliezer Yudkowsky tenendo a battesimo in America il Petrov Day. La mia modesta proposta pacifista: facciamolo anche in Italia. Celebrare l’uomo che salvò il pianeta dalla catastrofe nucleare è una buona idea. Soprattutto oggi, a un anno mezzo dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con la “guerra per sempre” contro alimentata dai guerrafondai Nato (e dai miliardi Usa-Ue a Kiev) con l’Europa a rischio ogni giorno (i war game americani hanno tutti come teatro la Polonia).

La storia di Stanislav Evgrafovič Petrov inizia alle 6:30 il 1° settembre 1983, quando due caccia da guerra Sukhoi Su-15 dell’aviazione sovietica in volo sul mare del Giappone colpirono, con due missili, un aereo civile della Korean Air Lines. Il Boeing 747 aveva oltrepassato lo spazio aereo del Patto di Varsavia, il Kal 707 non rispondeva alle chiamate radio di allarme dei russi. Morirono 269 persone, tra equipaggio e passeggeri. “Barbarie” “brutalità inumana” “un crimine contro l’umanità che non dovrà mai essere dimenticato” disse il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Tra Washington e Mosca i rapporti erano pessimi, non come ai tempi della Baia dei Porci nel 1961, ma quasi. Jurij Vladimirovič Andropov, segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, dopo la strage dell’aereo coreano, ne era ormai convinto, l’America stava progettando un massiccio attacco contro l’Urss. Poco dopo tutti gli agenti operativi ricevettero dal vertice Kgb un messaggio flash: prepararsi a una possibile guerra atomica.

Il 26 settembre 1983 (quarant’anni oggi) il tenente colonnello Petrov era l’ufficiale al comando a Serpukhov-15, sede del centro di comando e controllo dell’arsenale atomico sovietico, non lontano da Mosca. A un certo punto, quel giorno, il sistema computerizzato di allarme segnalò il lancio di un missile Usa, obiettivo Russia. Petrov mantenne la calma, sospettando d’istinto un errore del computer. Pochi minuti dopo, identica massima allerta su un altro missile in arrivo, poi un altro, e un altro ancora, sono cinque i vettori a testata nucleare lanciati dall’America verso bersagli strategici russi. Nella sala comando urla di sirene e luci lampeggianti rosse, poi sul maxischermo campeggia una scritta a lettere cubitali «Старт» («Start» in russo). Per la procedura, l’ufficiale incaricato avrebbe dovuto avvertire immediatamente i superiori, in quindici minuti i missili sullo schermo, se davvero lo erano, avrebbero raggiunto i target.

Ma Petrov decise di sua iniziativa di non distruggere il mondo, “il rilevamento del lancio multiplo di missili americani è un falso allarme”, confermò al telefono ai suoi capi. La MAD “mutua distruzione assicurata” non partì mai, il Carneade di Serpukhov-15 evitò, per un soffio, lo scoppio della Terza Guerra Mondiale. In seguito una commissione d’inchiesta determinò ciò che era davvero accaduto. Furono i riflessi provocati da raggi di sole su nuvole ad alta quota a far scattare l’allarme, effetto ottico che si allineava esattamente con l’inquadratura del satellite collegato ai silos atomici statunitensi in Nord Dakota.

Anni dopo, abbastanza schifato dal trattamento subito dai vertici militari moscoviti (interrogatori, inchieste, umiliazioni) l’umile tenente colonnello che ha salvato la Terra dall’Armageddon andò in pensione in relativa povertà con un assegno di 200 dollari al mese. Nel 2004 l’Associazione cittadini del mondo gli conferì un trofeo e un premio di 1000 dollari. Tenne un basso profilo anche nelle numerose interviste ai media occidentali (tra cui una del Corriere della Sera, mentre nel 2017 il conduttore tv Roberto Giacobbo ha pubblicato per Rai Libri insieme a Valeria Botta il volume L’uomo che fermò l’apocalisse). L’ex ufficiale restò in silenzio pure dopo l’uscita di due film imperniati sulla sua vicenda: un documentario polacco girato nel 2011, The Red Button, e soprattutto il docufilm del 2014 The man who saved the world, con Kevin Costner, e lui stesso come protagonista, thriller realistico che fa venire i brividi soprattutto oggi, alla luce delle minacciate schermaglie atomiche tra Putin e Biden sull’Ucraina.

La storia scritta in dossier top secret ci ha consegnato decine di episodi in cui l’umanità è stata a un passo dal fronteggiare l’estinzione per falsi allarmi, errori tecnici o umani, malfunzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale. Migliaia di potenti missili schierati dalle triadi di Stati Uniti e Federazione Russa in silos terrestri, cacciabombardieri e sottomarini sono pronti 24/7, in hair-trigger alert, predisposti per il lancio in pochi minuti. In sostanza, diciamolo: finora ci è andata bene. Lui, Petrov, è morto solo, frustrato e in miseria il 19 maggio 2017, a 77 anni, nel silenzio dei media e nell’indifferenza del mondo politico. Un uomo qualunque, ma in centinaia di milioni probabilmente siamo vivi grazie a lui.

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