Mentre Giorgia Meloni si dice delusa dai risultati della lotta all’immigrazione clandestina – “Speravo meglio” – il suo governo ha dovuto chiarire perché intende chiedere 5mila euro ai richiedenti asilo sottoposti alle nuove procedure accelerate di frontiera. L’idea è quella di una cauzione che eviterebbe al migrante il trattenimento previsto dal nuovo decreto Cutro: se puoi pagare, esci. Una condizione improbabile per chi è appena sbarcato, magari fuggendo dalla povertà se non addirittura da guerre e persecuzioni. E infatti l’esecutivo è stato subissato di critiche per una “ulteriore crudeltà inumana”, come ad esempio ha commentato la segretaria del Pd Elly Schlein. Tanto che dal ministero dell’Interno si sono affrettati a aggiungere distinguo e precisazioni, fino a usare la direttiva europea sull’accoglienza per giustificarsi. Ma a ben guardare la toppa è peggio del buco.

Il decreto Cutro convertito con la legge 50/2023 ha modificato il decreto legislativo introducendo la possibilità di trattenere le persone sottoposte a procedura accelerata di frontiera per l’esame della domanda d’asilo. Per un massimo di 4 settimane, le persone potranno private della libertà restando chiuse in un hotspot o addirittura in un centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) se, dice la nuova norma “qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria” (art. 6 bis, comma 2, d.lgs 142/2015). In altre parole, se non hai i soldi finisci dentro. L’indignazione è montata dopo il decreto del 14 settembre in cui i ministeri dell’Interno, della Giustizia e dell’Economia hanno fissato la “cauzione” a 4.938 euro, somma ritenuta sufficiente a “garantire allo straniero la disponibilità: a) di un alloggio adeguato, sul territorio nazionale; b) della somma occorrente al rimpatrio; c) di mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona”.

“Questa ultima crudeltà” del governo “cozza contro il diritto internazionale. Una fideiussione di cinquemila euro è una ulteriore crudeltà inumana di un governo forte coi deboli e debole coi forti”, ha detto Schlein. “O i richiedenti asilo non li hanno perché non possiedono nulla, oppure li hanno e allora ci si può chiedere come se li siano procurati. In sostanza chi ha soldi potrà schivare il Cpr, mentre i più disgraziati saranno rinchiusi: è un criterio inaccettabile”, ha aggiunto la dem Debora Serracchiani. Ancora più duro il segretario di +Europa Riccardo Magi: “E’ scafismo di Stato, una tangente discriminatoria, classista e disumana, verso chi scappa da fame e guerre. Ci sarebbe da vergognarsi solo per averlo pensato. Ma c’è di peggio: questa norma è illegale, in quanto la Corte di Giustizia europea ha già sanzionato una misura analoga introdotta dall’Ungheria”, ha detto citando la sentenza del 14 maggio 2020 in cui la Corte ha condannato per incompatibilità col diritto comunitario una norma simile voluta dal governo ungherese.

La Corte stabilisce che un richiedente non può mai essere trattenuto per la sola ragione di non disporre di mezzi economici, condizione che invece impone allo Stato accogliente di disporre un sussidio o un alloggio in natura, come prevede la direttiva 33/2013, detta appunto “direttiva Accoglienza”. La stessa che il ministero dell’Interno ha pensato bene di utilizzare a giustificazione della nuova “cauzione”. Secondo il ministero di Matteo Piantedosi, la novità introdotta con il decreto Cutro non fa altro che recepire quella direttiva. E allora tocca andarsela a rileggere per scoprire che le cose non stanno esattamente così. Anzi, che l’Europa ha già escluso che si possa trattenere un richiedente se non nei casi previsti dalla direttiva stessa. Tra questi la disponibilità finanziaria non è contemplata.

Ma passiamo all’articolo 8, quello che il ministero dice di aver recepito con il decreto Cutro. Il quarto comma dice che “gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento”, come ad esempio “la costitu­zione di una garanzia finanziaria”. In altre parole, se sei in grado di dimostrare che hai i mezzi per sostenere un’alternativa al trattenimento, devo offrirti la possibilità di uscire. Non è un cavillo. La direttiva dice chiaramente che “gli Stati membri possono trattenere il richiedente sulla base di una valutazione caso per caso e salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive“. Se lo Stato non ha i mezzi, non può però negare l’alternativa a chi può permettersela. Al contrario, la direttiva non dice che l’assenza di mezzi basta a privare il richiedente della libertà, come fa la norma del governo Meloni. C’è un’enorme differenza. Le cose sono due: o il governo non la coglie oppure si arrampica sugli specchi sperando che nessuno vada a verificare. Perché a voler leggere le direttive (oltre che a citarle) a volte casca l’asino.

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