Il forte richiamo alla moderazione e alla responsabilità che il ministro Giorgetti ripete ormai da un mese in tutte le sedi rappresenta un’esigenza reale oppure si tratta ancora del consueto gioco mediatico con una pluralità di fini nascosti? Veramente siamo in braghe di tela, come si sarebbe detto un tempo nelle mie zone, oppure siamo di fronte all’ennesima finzione economico-finanziaria del fronte conservatore?

Fra qualche giorno con la pubblicazione della Nadef le cifre saranno svelate, ma intanto è possibile fare qualche osservazione preliminare verso la prossima legge di bilancio.

Il ministro delle Finanze non dovrebbe essere così pessimista. Lo sono stati sempre tutti i suoi colleghi al momento di preparare il bilancio a settembre, anche se nessuno è stato così lamentoso come Giorgetti. La legge di bilancio di quest’anno dopo i due anni orribili della pandemia e l’anno successivo dello scoppio del conflitto bellico non è più quella emergenziale e si dovrebbe andare verso la normalità. L’anno scorso, per far fronte all’inflazione energetica, la legge di bilancio aveva stanziato ben 20,2 miliardi a sostegno delle imprese e delle famiglie, somme che ora tornano nelle disponibilità del governo. Molte misure poi erano limitate al 31 dicembre 2023, persino il modesto aumento delle pensioni minime, e quindi anche da questo punto di vista ci sono risorse che possono essere recuperate.

La finanziaria 2022 è stata una legge di bilancio per così dire fluida, cioè piena di interventi ad hoc e di corto o cortissimo respiro.

Un altro fattore che dovrebbe far sorridere Giorgetti è l’impatto dell’inflazione sulla finanza pubblica. L’aumento dei prezzi ha gonfiato le entrate nelle casse dello stato. Inoltre, l’aumento nominale del Pil consente di rispettare in maniera più agevole i parametri della Commissione europea. Le due note negative sono l’aumento consistente della spesa per interessi e la bassa crescita economica. Però, tutto sommato, i puri fatti economici non dovrebbero creare molti patemi d’animo, non più del solito. Tutto poi dipenderà anche dall’extra deficit che, come tradizione, sarà richiesto. Sara come quello del 2022, cioè di 21,1 miliardi, poi gonfiato a giugno oppure più basso?

Se la nota di pessimismo non è molto credibile, da dove arrivano le preoccupazioni del ministro? Probabilmente sono spinte dalle notevoli pressioni dei partiti che lo sostengono, ognuno dei quali vuole prenotare un pezzo di legge di bilancio per onorare gli impegni del suo demagogico programma elettorale. Infatti questa è la prima vera finanziaria della destra-centro. Quest’anno non ci sono più scuse e le generose promesse di settembre 2022 vanno onorate se non si vuole perdere la faccia. Quali esattamente? Almeno due.

Nella scorsa campagna elettorale era stata promessa una riforma copernicana del fisco all’insegna della aliquota unica e della riduzione delle tasse. Con la delega fiscale approvata, ora si ratta di mettere sul piatto le risorse necessarie. Draghi, a suo tempo, aveva recuperato 6 miliardi. Una cifra sostanziosa. Il vice-ministro Leo cosa farà? Se la riduzione delle aliquote verrà finanziata, come pare, tagliando le detrazioni e deduzioni d’imposta, sarà una beffa per gli elettori spudoratamente presi in giro.

Il secondo punto identitario è la riforma della riforma Fornero, l’ossessione di Salvini. La finanziaria dell’anno scorso su questo punto era stata modestissima, quasi ridicola. È stata inventata la fantasiosa quota 103, cioè la possibilità di ritirarsi dal lavoro con 62 anni di età e 41 di contributi, per una spesa a carico dello stato di appena 400 milioni, e quindi ben poca cosa. Si tratta ora di tirar fuori le idee e soprattutto le palanche, svariati miliardi di euro dal 2024 e per sempre.

C’è poi la ventilata riconferma dello sconto sugli oneri sociali, il piccolo ma utile salario di stato pagato dall’Inps che, se confermato, da solo assorbirebbe più di un terzo dei fondi disponibili. Quindi, possiamo tranquillamente osservare che i problemi, almeno per una vola, non vengono dall’economia, ma dalla politica. Ogni vorace socio della coalizione conservatrice vuole portare a casa il massimo a spese degli altri, per pagare il dazio delle molte promesse elettorali.

Servirebbe qualcosa di diverso? Probabilmente sì. Servirebbe una legge di bilancio normale, cioè rivolta agli interessi di tutti e non ad alcune categorie economiche. Per esempio, si potrebbero intanto onorare gli obblighi legislativi senza tagliare le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici, come è accaduto l’anno scorso, che attendono per il 2024 il rinnovo contrattuale. Si potrebbe certo tagliare il cuneo fiscale ma in maniera moderata, stile Draghi per intenderci, per non scassare ulteriormente le casse dell’Inps. Si potrebbe tentare di fare una vera politica industriale al di là dei macchiettistici proclami della tutela del made in Italy per preparare l’industria italiana alle sfide future, prima di tutto quelle sull’industria automobilistica.

Ma su questo ultimo punto è difficile dare solo la colpa alla Meloni. In fondo è lo stesso ragioniere Bonomi, Presidente di Confindustria, che come unica misura di politica industriale chiede da almeno due anni la riduzione del cuneo fiscale per aumentare il salario netto. Così abbiamo anche, abolito il reddito di cittadinanza, un salario di cittadinanza.

Servirebbe soprattutto una legge finanziaria che non fosse liquida, alla Giorgetti, orientata cioè verso provvedimenti strutturali di modo che i cittadini e i mercati si possano orientare. Questa fluidità tossica dei conti pubblici è un ulteriore aspetto deleterio della demagogia della melonieconomics. In questo modo ogni anno la leader si riserva il diritto di decidere come spendere il tesoretto disponibile seguendo le sue personalissime intuizioni, di solito elettorali.

C’è il sospetto fondato che la finanziaria 2024 non servirà agli italiani ma ai partiti della destra-centro per posizionarsi rispetto alle prossime elezioni europee. Come l’ormai famoso granchio blu, anche i partiti conservatori tendono a divorarsi fra di loro mentre l’economia e la società non si muovo certo nella giusta direzione.

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