Con il pil in frenata tornano ad aumentare i fallimenti aziendali. Il rapporto ‘Le chiusure di impresa nel 2q 2023 e gli impatti sull’economia reale’ realizzato da Cerved mostra che, dopo un anno e mezzo in continua decrescita, nel secondo trimestre 2023 le liquidazioni volontarie hanno visto un’impennata del 26,1%, 10.446 contro 8.282, e sono fallite 2.070 imprese contro le 2.039 del 2022, +1,5%. Tra fallimenti e liquidazioni volontarie nei primi sei mesi del 2023 in Italia sono andati persi 81.000 posti di lavoro e oltre 1 miliardo di euro di valore aggiunto (oltre a 2,5 miliardi di debiti finanziari e 1,8 di debiti commerciali)

Dati che “ci fanno tornare al Paese reale”, dice il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo, mentre il governo “attraverso il ministro D’Urso non perde occasione per raccontare quanti aiuti alle imprese si sono introdotti e quanti se ne stanno attivando, con una narrazione che vuole descrivere il Paese come una locomotiva inarrestabile”. Invece “le crisi continuano ad aumentare, di ieri la volontà della Marelli di chiudere lo stabilimento di Crevalcore in Emilia. Ricordiamo al Governo e al Ministro D’Urso che non è attraverso una narrazione positiva che il nostro Paese potrà invertire un trend di decrescita del settore industriale sempre più preoccupante, con un sistema non pronto e inadeguato a fronteggiare le enormi transizioni che abbiamo da compiere nei prossimi anni, quella energetica e quella digitale. È necessario che il Governo apra un tavolo con associazioni datoriali e organizzazioni sindacali per reintrodurre nel nostro Paese le politiche industriali a forte trazione pubblica e disegnare l’industria del futuro”.

In particolare, si legge nell’analisi, sono fallite le imprese piccole e medie (ma non le piccolissime), che si rivelano sempre più in difficoltà causa crisi di liquidità e allungamento dei tempi di pagamento verso i fornitori. A guidare i fallimenti sono soprattutto le ditte individuali (+27,7%). Le società di capitali fanno registrare nel complesso un lieve aumento (+0,3%), trainato in particolare dalla fascia di aziende tra i 2 e i 10 milioni di euro di fatturato (+44,8%). I comparti più colpiti sono l’industria (+5,2%) e i servizi (+1%), in particolare prodotti da forno (+84,6%), alberghi (+50%) e ingrosso costruzioni (+36%). Si tratta di settori e comparti che presentavano un alto indebitamento nel 2022 o che hanno allungato i tempi di pagamento verso i fornitori: in particolare, ristorazione, alberghi, carpenteria metallica, agricoltura, servizi non finanziari. A livello di macroaree Nord-Est (+12,1%) e Centro (+11,6%) guidano la crescita dei fallimenti, in calo invece del 4% nel Nord Ovest e del 7,1% nel Mezzogiorno. A livello regionale, si registra un calo in Valle d’Aosta (-33,3%) mentre il Molise guida gli aumenti (+85,7%).

Lo studio analizza anche l’andamento delle liquidazioni volontarie: a guidare il fenomeno sono le società di capitale e in particolare le Pmi con fatturato tra 2 e 10 milioni di euro (+71%), le stesse che l’anno precedente hanno peggiorato nettamente le abitudini di pagamento. I maggiori incrementi riguardano le costruzioni (+33%), con le pessime previsioni dettate dalla fine degli incentivi, seguite da servizi (+26,2%) e industria (+22,8%). Entrando nello specifico dei comparti, la punta più alta si registra nei metalli (+128,6%), negli alberghi (+57,9%) e nei prodotti all’ingrosso per le costruzioni (+50%). Seguono edilizia (+42,2%), commercio al dettaglio specializzato (+41,1%), prodotti da forno (39,5%), spedizionieri (+37,6%), concessionarie e agenzie di pubblicità (36,2%), distribuzione alimentare moderna (+33,9%), servizi informatici e software (+29%). Quanto all’andamento geografico, la crescita coinvolge tutte le macroaree, a partire dal Nord Ovest (+30,7%), Centro (+27,4%), Mezzogiorno (+23,5%), Nord Est (+21,7%), con i maggiori rialzi in Umbria (+75,2%), Calabria (+42%), Sardegna (+41%), Sicilia (+39%), Liguria (36,3%), Lombardia (+33%). In controtendenza solo Valle d’Aosta (-32%) e Molise (-3,4%).

“Nel triennio 2020-22, gli effetti delle crisi e del rallentamento congiunturale non si sono tradotti in un aumento delle uscite dal mercato e delle chiusure di impresa, che hanno registrato sei trimestri consecutivi di riduzione mantenendosi su livelli ampiamente inferiori al pre-Covid – commenta Andrea Mignanelli, ad di Cerved – Tuttavia, i dati del 2023 fanno emergere una chiara inversione di tendenza: l’impennata dell’inflazione e il conseguente forte rialzo dei tassi di interesse si è manifestata in modo asimmetrico sulle imprese. Intercettare tempestivamente segnali di allarme e gestire situazioni di crisi, avvalendosi di dati, algoritmi predittivi e tecnologia, è sempre più fondamentale”.

Articolo Precedente

Il Financial Times vede nero sull’Italia: “Finita la luna di miele con i mercati. Investitori inquieti per la manovra del governo Meloni”

next
Articolo Successivo

Fondi Ue 2014-2020, a fine giugno l’Italia ha speso solo il 67%: resta ultima. Per la Sicilia 1,6 miliardi a rischio disimpegno

next