Un forte calo del valore aggiunto delle costruzioni che sconta da un lato la riduzione del Superbonus dal 110 al 90%, lo stop a cedibilità dei crediti e sconto in fattura e gli effetti del rialzo dei tassi, dall’altro la debolezza di investimenti pubblici su cui il Pnrr ha avuto finora uno scarso impatto. Ci sono queste componenti dietro la frenata del pil (-0,4%) nel secondo trimestre dell’anno, la più brusca dalla fine del 2020 pandemico stando alle serie storiche dell’Istat. Pessimo viatico in vista della legge di Bilancio per il 2024, che parte con l’ipoteca dei 10 miliardi da trovare solo per la proroga del taglio del cuneo fiscale e coperture tutte da trovare, fatta eccezione per i 4 miliardi di deficit aggiuntivo già preventivati. Con la premessa che un solo dato statistico trimestrale non deve essere sopravvalutato, le stime sulle componenti della domanda e sul valore aggiunto per settore consentono perlomeno di farsi un’idea di cosa si è inceppato nei meccanismi che determinano l’espansione o contrazione dell’economia.

Tra aprile e giugno i consumi privati, nonostante la botta dell’inflazione, risultano aver retto, tamponando il calo (-1,6%) della spesa corrente della pubblica amministrazione. Ma a perdere terreno sono stati gli investimenti, con un calo da 23,7 a 22,9 miliardi (-3,4%) per quelli in abitazioni e da 22,8 a 21,9 (-3,8%) per fabbricati non residenziali e altre opere infrastrutturali. Tenendo presente che il campo di osservazione sono sia le nuove costruzioni sia la manutenzione, il residenziale ha evidentemente iniziato a risentire della riduzione del Superbonus dal 110 al 90% da gennaio disposta dal governo Meloni con la legge di Bilancio per il 2023 e della successiva decisione di bloccare la libera circolazione dei crediti fiscali legati agli incentivi per l’efficientamento. Oltre che della stretta monetaria che rende molto meno conveniente accendere un mutuo per l’acquisto.

Sul fronte delle opere, le stime accreditano uno scenario di cantieri fermi o quasi nel primo anno in cui i target quantitativi del Piano di ripresa e resilienza diventano prevalenti rispetto alla mera approvazione di riforme e decreti. Del resto la terza rata di erogazioni da 19 miliardi, rimasta bloccata per sette mesi causa rilievi della Commissione Ue sul raggiungimento di diversi target e alla fine decurtata di 500 milioni, deve ancora arrivare nelle casse dello Stato. E l’utilizzo delle risorse già disponibili, stando alle ultime ricognizioni della Corte dei Conti, è di fatto al palo.

I dati sul valore aggiunto confermano un forte calo (-3,2%) per quello delle costruzioni, la componente che nel post pandemia ha più contribuito all’aumento del pil registrando per cinque trimestre variazioni ampiamente a doppia cifra rispetto all’anno precedente. Inferiore, ma comunque significativa (-0,9%) la caduta dell’industria, che sconta la debolezza dei maggiori partner commerciali a partire dalla Germania.