di Enzo Marzo

Può il Direttore di una pubblicazione rubare a un suo collaboratore una citazione? Lo può. E così dal bellissimo articolo di Elio Rindone (a pag. 12 del nostro ultimo numero) copio questa “perla” di Confucio, che sostenne: “La cosa più importante in ambito politico è la ‘rettificazione dei nomi’. Il che significa che i nomi, cioè i termini con cui denominiamo le cose e gli eventi, devono essere corretti, devono ‘corrispondere alla realtà’. Le parole, affermava infatti il saggio maestro cinese, hanno un impatto straordinario sulle nostre idee, e quindi sulle nostre vite, sia individuali che collettive”.

Certo non può Critica liberale dargli torto, avendo dedicato da una vita la maggior parte del suo impegno proprio a combattere contro la distorsione dolosa delle “parole politiche”. Fa parte della retorica più abietta confondere le carte in tavola e appropriarsi di altrui definizioni per rovesciarne il significato e rubarne il valore positivo.

L’esempio più clamoroso di questi tempi è l’uso improprio del “liberalismo”: tutti si dicono liberali sostenendo politiche opposte che di liberale non hanno nulla. Quindi abbiamo il paradosso di “fascisti liberali”, “popperiani meloniani”, conservatori liberali, avventurieri liberali di centrosinistra-centro-destra, monopolisti liberisti, liberisti ultraconservatori. E così via. Non migliore sorte ha avuto il povero “socialismo” che ha dovuto subire persino l’onta del “nazionalsocialismo”. Il travisamento delle definizioni è il sale dei trasformisti e dei demagoghi. Molti anni fa ebbi a che fare con una stupenda antologia di Paolo Sylos Labini e Alessandro Roncaglia sul Riformismo, che ripercorreva nei secoli lo sviluppo storico di questo concetto, che di sua natura non è vago per niente. Ricordo che già Riccardo Lombardi, resosi conto della svalutazione e dell’abuso della parola “riformismo” e per ridare anima e sangue a quella idea, cercò di contrapporgli “impegno riformatore”, come definizione più corrispondente alle intenzioni autentiche di un determinato pensiero politico.

Oggi qualunque intervento legislativo su qualunque argomento è qualificato dai media e al discorso politico come “Riforma”. Possibilmente con un titolo inglese, in modo che il cittadino non possa capirci nulla. Di solito sono gli avventurieri della politica ad essere avvezzi a questo malcostume.

Ma oramai l’uso distorto del “nome” è straripato ed è incontrollabile come la presenza di politici pagliacci che un giorno si travestono da azionisti e un altro da nazionalisti, e un altro ancora sono di destra, poi di sinistra, ma restano rigorosamente attraccati al 2-3 % per cento. E così si è arrivati al punto di non ritorno dell’ossimoro dell’ECR. Se fossero coerenti, i reazionari di centro-destra renziani, gli ex renziani, i bonacciniani, le truppe sparse che nel Pd si danno il nome di “riformisti” e anche i neo fuoriusciti che non riescono a tollerare il “massimalismo” fantasma di Schlein dovrebbero correre a iscriversi all’ECR, ovvero al Gruppo europeo presieduto da Giorgia Meloni che appunto riunisce i “Conservatori e Riformisti europei”. Si troverebbero in bella compagnia con l’estrema destra del pianeta che si autodefinisce come il tutto e il contrario di tutto.

Erano riformisti i cattolici alla Fioroni negli anni passati quando, seduti su comode poltrone ministeriali, avallavano o si facevano promotori dei Patti del Nazareno? Quale parte del patrimonio della dottrina sociale è stato riversato nel Jobs act? Quali battaglie liberali e laiche hanno condotto i vari liberaldemocratici alla Marcucci, attenti solo a votare leggi elettorali incostituzionali nonché masochiste? Sarebbe stato “massimalismo” inorridire e rifiutare una riforma della Tv pubblica, quella di Renzi, così sfacciatamente autoritaria che non conosce pari in alcun paese europeo? Questi riformisti sono stati capaci esclusivamente di farsi complici nella legittimazione del regime berlusconiano fondato sull’interesse privato, sull’illegalità e sulla distruzione materiale e etica del nostro paese. Ed ora non resta loro che parcheggiare nella Tortuga del Centro, cercando di spilluzzicare a destra più che a manca.

C’è da vergognarsi solo a pronunciarla, questa parola dichiaratamente fraudolenta. Il nome, ammonisce Confucio, va “rettificato”. Ma come? Semplicemente con l’avvertenza che la parola riforma, non significando più nulla, deve essere accompagnata da un aggettivo che ne definisca il contenuto e il fine che si vuole ottenere. Purtroppo il primo rilevante slittamento di significato si deve proprio alla “terza via” di Blair e di Schroder, scivolamento in una politica liberista più o meno selvaggia mutuata dai reaganiani che ha fatto smarrire alla Sinistra depurata dal comunismo il ruolo classico che era ricoperto dal socialismo o socialismo liberale o laburismo. Tutte forze votate a un cambiamento legato ai valori “francesi” della libertà-uguaglianza-solidarietà. Nessuno più ricorda quanto di rivoluzionario fosse nel prototipo di Riforma, quella di Lutero. Invece “reazione” e “progresso” si sono sposati, e hanno lasciato via libera al populismo dominante e alla presa di fondelli dei “conservatori e riformisti” presieduti da Giorgia.

La nostra tesi è semplice: prima di dirsi “riformisti” ed evitare nel contempo di essere accomunati di fatto ai polacchi di “Diritto e Giustizia”, in compagnia con “Vox” e “Likud”, i malpancisti del Pd e i filibustieri di Centro ritrovino nella propria cultura, se ce l’hanno, una qualche identità senza scopiazzare la Destra, e la mantengano per più di una settimana di seguito. Si cerchino un altro nome. Il termine Riforma non si addice loro. Si adeguino alla “realtà”. Lo diceva già Confucio.

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