Era il 56esimo compleanno di don Pino Puglisi, quel 15 settembre 1993 in quel di Brancaccio (Palermo) quando i killer l’assassinarono. Don Pino, quando si accorse della loro presenza, per nulla intimorito, fece un sorriso ai suoi carnefici. Un prete, un uomo, armato solo del Vangelo. E quei signori, che pomposamente si facevano chiamare uomini d’onore, ebbero gioco facile ad uccidere un inerme uomo di chiesa.

Quell’omicidio voluto da “Padre nostro”, al secolo Giuseppe Graviano e da suo fratello Filippo, diede inizio alla fine di Cosa nostra, beninteso quella dei corleonesi. Non ebbi l’onore di incontrare don Pino e non fui incaricato di seguire le indagini per la sua uccisione. E devo dire che sono ancora oggi dispiaciuto per non averlo conosciuto di persona. In quel periodo, sia io che la mia squadra della Dia eravamo degli “invisibili” a Brancaccio, nel senso che stavamo svolgendo investigazioni sulla strage di Capaci.

Occorre dire che Brancaccio sin dai primi anni 80 era un quartiere monitorato da noi della Mobile, soprattutto durante la mattanza voluta dal viddano e peri incritati Totò Riina. Quella che fu l’eliminazione fisica degli oppositori di Riina e che in tanti maldestramente definiscono “guerra di mafia” causò l’occupazione manu militari di Brancaccio da parte dei fratelli Graviano. Divennero padroni assoluti.

Costoro non accettarono che un prete – don Pino – si comportasse in quel modo nel loro territorio: don Pino faceva proselitismo verso i giovani, e quindi doveva essere eliminato. L’intento di Don Pino era quello di allontanare i ragazzi dal mondo mafioso. In buona sostanza “rubare” braccia a Cosa nostra. Questo fu il torto di don Pino, che entrando nel cuore dei ragazzi evitò loro di avvicinarsi alla mafia.

Io penso che don Pino era cosciente che quanto prima una mano armata avrebbe messo fine alla sua vita. Non ebbe paura, continuò imperterrito a svolgere il ruolo di educatore. L’omicidio di don Pino Puglisi, così come l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, dimostra che Cosa nostra non era e non è affatto quella organizzazione criminale decantata nei vari saggi o libri. E’ un’organizzazione delinquenziale, capace di commettere delitti del genere. Mai uccidere un prete, donne e bambini, falso!

Mi domando come possano vivere serenamente, dopo aver ucciso don Pino: quel sorriso rivolto agli assassini e mandanti dovrebbe pesare come un macigno sulla loro coscienza.

Ps. Nonostante siano trascorsi 30 anni dall’omicidio, Brancaccio ieri sera alla fiaccolata era assente. Conoscendo bene il quartiere, risulta evidente che ancora oggi l’influenza dei Graviano non è affatto scemata. Sono rammaricato per la scarsa partecipazione.

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Trent’anni fa l’omicidio di don Pino Puglisi, il sacerdote che voleva fare la rivoluzione antimafia nel quartiere dei Graviano

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