A poco meno di due anni dal licenziamento per contestate “criticità nella gestione del reparto”, Saverio Tateo, primario dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, potrà rientrare al lavoro nella struttura da cui era stato cacciato dopo la scomparsa della ginecologa Sara Pedri. A deciderlo è stato il giudice del lavoro Giorgio Flaim che ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento “per difetto della giusta causa”. Di conseguenza ha ordinato il reintegro del medico, con condanna dell’ospedale al pagamento degli stipendi arretrati. “Sono stati anni pesanti, ma la sentenza è puntuale e il quadro che emerge sottolinea l’assenza di una volontà persecutoria, di marginalizzazione o di una reazione impropria” ha dichiarato l’avvocato Vincenzo Ferrante, sottolineando come la sentenza ricostruisca “l’integrità del dottor Tateo dal punto di vista umano e professionale”.

La decisione riguarda una sconcertante vicenda che ha scosso non solo la sanità, ma anche la politica trentina. Era cominciata il 4 marzo 2021, quando la giovane ginecologa, che da Forlì si era trasferita a Trento, scomparve dopo aver scritto una lettera di dimissioni all’Azienda sanitaria. Le ricerche portarono a individuare l’auto parcheggiata vicino al Ponte di Mostizzolo, vicino ad un lago. I familiari temettero da subito un gesto estremo, come reazione all’esasperazione di cui Sara sarebbe stata vittima nell’ambiente di lavoro. La donna aveva confidato alla sorella di aver ricevuto vessazioni ed umiliazioni, che non riusciva più a sopportare. Furono aperte tre diverse inchieste dalla Procura della Repubblica, dal ministero della Sanità e dall’Azienda sanitaria di Trento. Un’indagine interna aveva evidenziato criticità nella gestione del reparto e provveduto al trasferimento del primario e della sua vice, la dottoressa Liliana Mereu, con il contestuale avvio di un procedimento disciplinare. Nel novembre 2021 era stato formalizzato il licenziamento per giusta causa, poiché il medico avrebbe denigrato alcuni suoi colleghi. Nel maggio 2023 la procura di Trento ha chiesto il rinvio a giudizio sia del primario che della sua vice per maltrattamenti. Le parti offese dal reato sono una ventina, tra queste c’è anche Sara Pedri.

Adesso, secondo il Tribunale di Trento, le 17 contestazioni disciplinari indicate nel provvedimento di licenziamento, riguardanti presunti atteggiamenti vessatori, non sarebbero tali da motivare un licenziamento. Il giudice ha depositato una sentenza di 270 pagine che riassume non solo la vicenda di Sara Pedri, ma ricostruisce il clima esistente nel reparto, valutando le dichiarazioni di 15 dipendenti, medici e infermieri, che avevano raccontato di aver subito aggressioni verbali. Si trattava di discussioni interne sui turni da coprire, che si erano estese alle capacità professionali di alcune ginecologhe. Secondo l’avvocato Ferrante, “tutte le contestazioni sono state sgretolate dalla sentenza e noi avevamo sempre detto che si trattava di un processo alle streghe”. Di fronte a queste dichiarazioni, l’Azienda sanitaria ha diffuso un comunicato laconico: “Non intendiamo esprimere commenti, almeno fino a quando non saremo in possesso del testo con le motivazioni e avremo avuto modo di fare le valutazioni necessarie per attuare i conseguenti adempimenti”. Molto probabile il ricorso in appello. In sede penale si attende ora l’udienza preliminare di fine novembre che dovrà decidere sulle richieste di rinvio a giudizio formulate dai pubblici ministeri Licia Scagliarini e Maria Colpani. Emanuela, la sorella di Sara Pedri non è riuscita a nascondere la propria amarezza per l‘annullamento del licenziamento. “Noi andiamo avanti per la nostra strada e attendiamo l’udienza preliminare del processo penale”.

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