La mattina dell’11 settembre 1998 pioveva a dirotto a Multee, come i brianzoli chiamano Molteno. Ricordo la falange di ombrelli che proteggeva il piccolo cimitero del paesino del lecchese in attesa della Mercedes nera con la bara di Lucio Battisti, morto a Milano, a 55 anni, due giorni prima, l’8, esattamente un quarto di secolo fa. Oggi Battisti sarebbe stato un anziano compositore, ottantenne. E fa una certa impressione pensarlo. Lui, che è stato la colonna sonora di tanti momenti sentimentalmente importanti della vita di noi nati negli anni 50.

Sarebbe stata un’impresa impossibile che lì ci fossero solo i parenti restii al pubblico: già alle prime ore della mattina centinaia di persone, adoratrici di Battisti, stazionavano davanti ai cancelli del camposanto, muniti di fiori e bigliettini d’affetto. Così se n’è andato l’uomo da 25 milioni di dischi venduti, anche se la frugale lapide con il suo nome, gli anni di nascita e morte e una croce stilizzata, verrà rubata, non si sa da chi, una settimana dopo e prontamente rifatta e rimessa a posto dal Comune di Molteno con il quale la famiglia di Battisti non è mai andata troppo d’accordo (come pure con i giornalisti e i fotografi, soprattutto i più invadenti come quelli di Eva Express e Novella 2000 che, sadicamente, pubblicavano immagini di Lucio, nei suoi ultimi anni di vita, ingrassato, che girava in bici…). Tanto che ora Battisti non è più a Molteno e le sue ceneri non si sa dove siano.

Michele Bovi, giornalista, ex dirigente Rai, inventore di numerosi programmi tv, ha conosciuto personalmente Battisti: “Suonavo il sassofono nel gruppo Le Pecore Nere. Io ero un ragazzino, lui già una personalità nel panorama musicale. Interveniva solo lui. Non ricordo di avergli rivolto una parola. Non mi era neanche molto simpatico, lo trovavo spocchioso come persona, ma grande come artista”, racconta a me e a Raffaello Carabini per molti anni direttore artistico dell’Etnofestival di San Marino, ricordando anche come la decisione di Battisti di nascondersi, o quasi, al mondo, fosse anche sua, di Lucio, e non solo della moglie: “Una scelta pagata di tasca propria: rifiutare di mostrarsi, di promuovere i dischi, di concedere la propria immagine a media e copertine degli album era antieconomico. Una volta il direttore della BMG Roberto Gasparini andò a trovarlo per lavoro nella casa di Dosso di Coroldo. Appena entrato nel parcheggio dell’abitazione Battisti gli chiese di aprire il baule dell’auto: voleva sincerarsi che non vi fosse nascosto un fotografo”.

Certo, anche la signora Grazia Veronese in Battisti non è certo una Vispa Teresa, tanto che sui giornali la definirono la Yoko Ono italiana: ha fatto causa (perdendola) al comune di Molteno per una festa in ricordo del compositore organizzata dalla municipalità, scatenando anche innumerevoli polemiche, spesso strumentali, sui suoi rapporti con Mogol. Lucio non piaceva ai giornalisti perché li teneva a distanza. Molti dicevano che fosse bravo nelle registrazioni in studio, ma impacciato, disarmonico, stonato dal vivo, malgrado venissero periodicamente riproposte le immagini di due suoi live straordinari: solo alla chitarra che esegue Eppur mi son scordato di te e con Mina nel duetto-medley più rivisitato nella storia della televisione italiana”.

Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera dell’agosto ‘98, un mese prima della morte di Battisti, scriveva: “Magico fu l’incontro fra questo apparentemente rozzo musicista della provincia di Rieti e Giulio Rapetti, in arte Mogol. Insieme hanno scritto le più belle pagine della storia della musica leggera italiana. Erano gli anni Settanta quando si presentarono negli uffici del programma Rai ‘Per Voi Giovani’, in via Col di Lana 8, a Roma. Avevano sottobraccio il provino di una canzone intitolata Pensieri e parole“. Dopo una settimana era primo in classifica. Poi il successo, ma anche i contrasti fra i due, di natura economica: “La legge assegna 4/24 all’autore dei testi e 8/24 all’autore della musica. Mogol riteneva questa divisione iniqua”, spiegava Fegiz.

Infine la collaborazione fra Battisti e Pasquale Panella, e con la moglie Grazia che si ribattezzò Velezia: “Panella esula dai confronti, è un prodigio allo stato brado – precisa Bovi – e che Battisti fosse un genio lo si capisce anche da questa scelta”. Comunque L’Arcobaleno, la meravigliosa canzone realizzata nel ’99 da Mogol dopo un’esperienza a dir poco esoterica che lui stesso ha raccontato, in cui, durante un viaggio in auto, gli ‘apparse’ Battisti come un arcobaleno, appunto, un brano scritto di getto con Celentano, è da pelle d’oca e pare proprio un estremo atto d’amore fra Mogol e Lucio: “Mi manchi tanto amico caro, davvero. E tante cose son rimaste da dire. Ascolta sempre, e solo, musica vera. E cerca sempre, se puoi, di capire”.

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