La discografia odierna offre spesso squisite rarità. È il caso dei tre cd, molto diversi ma egualmente attraenti, che presento qui.

Quanti melomani conoscono Pedro António Avondano, nato nel 1714 a Lisbona in una famiglia di musicisti venuti dall’Italia? Si sa piuttosto poco della sua carriera artistica: ebbe comunque un ruolo di peso come promotore della vita musicale portoghese. Dopo il terremoto del 1755 si adoperò, con l’architetto Giovanni Antinori, per istituire un teatro d’opera pubblico; e a partire dal 1758 promosse un club intellettuale, l’Assembleé des Nations Étrangères, frequentato dall’élite lusitana e dai residenti stranieri: ospitò i primi concerti pubblici nella capitale. Avondano si dedicò con successo all’oratorio, quel genere di dramma musicale che, come l’opera, è intessuto di recitativi e arie, ma, a differenza di questa, non prevede la messinscena. Uno di tali oratori, La morte d’Abel, versi di Pietro Metastasio, risale alla metà del Settecento (il musicista morì nel 1782).

Oggi, su due cd, l’ensemble “Divino Sospiro”, diretto da Massimo Mazzeo, lo ripropone in un’esecuzione accurata e coinvolgente. Fulcro del mirabile “componimento sacro” metastasiano è l’invidia che Caino nutre per Abele. Sentimento malefico, in essa sta la causa prima del fratricidio, ma anche, in generale, di tanti mali che affliggono il genere umano. Si manifesta nei gesti, nello sguardo, nelle parole di chi ne è affetto. Il tormento del cuore cresce quando l’altra persona è felice: è anzi, senza motivo, una ragione in più per odiarla. Caino è in preda a questo sentimento violento: lo dichiara nei recitativi, lo canta nelle arie con animo dilaniato, ne rimane devastato. Abel, prediletto da Dio, viene ucciso, Eva e Adamo, i genitori, sono distrutti dal dolore. Disperazione e morte gravano sul destino umano. I musicisti del “Divino sospiro” danno voce alle varie passioni del dramma grazie alla perizia dei giovani cantanti e a una direzione decisa ma delicata, che da ogni passaggio sa distillare le mille nuances del testo. Per farsene un’idea, si ascolti l’aria di Abel “Quel buon pastor son io”, o quella di Caino “Alimento il mio proprio tormento”, il dialogo dei due fratelli “Non bastava oltraggiarmi”, l’aria di Eva “Non sa che sia pietà”, il coro finale “Parla l’estinto Abelle”. Due cd preziosi per accostarsi a un testo eccelso della poesia morale del Metastasio e alla musica di un compositore di qualità.

In un cd della Da Vinci Classics, casa discografica intraprendente e coraggiosa con sede a Tōkyō, il duo pianistico formato da Marco Sollini e Salvatore Barbatano propone due sontuose, impervie composizioni di Franz Liszt: il Concerto pathétique, concepito in origine per piano solo, poi trascritto per due pianoforti nel 1856 e pubblicato infine nel 1877; e la Sinfonia Dante per coro e orchestra, eseguita nel 1857 a Dresda. Questa grandiosa parafrasi sinfonico-corale della Divina comedia è qui presentata nella riduzione per due pianoforti, di mano dell’autore. In origine la Sinfonia avrebbe dovuto avere tre movimenti, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ma Richard Wagner, l’amico cui Liszt la volle dedicare, lo dissuase dall’affrontare la terza cantica, poco consona alle turgide sonorità sinfoniche.

Liszt surrogò la candida luminosità paradisiaca con l’inserto di un soave Magnificat per voci femminili: la composizione sfocia dunque in un’aura dolcissima e spirituale. In entrambi i brani Sollini e Barbatano fanno meraviglie: affrontano con sovrana sicurezza le tremende difficoltà tecniche della scrittura pianistica lisztiana; la cantabilità non viene mai meno anche nei punti più ostici, la sonorità è piena, mai sgarbata. Nella Dante è suggestivo l’apporto del coro dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia diretto da Marco Berrini: curate, limpide, trasparenti, le voci rendono la serena, celestiale atmosfera, prima del prorompente tripudio finale. Un cd trascinante, prezioso.

Altrettanto prezioso, su un diverso versante, è un altro cd della Da Vinci Classics, che propone tre brani concepiti per un organico inconsueto, il quartetto di sassofoni. I quattro virtuosi del milanese “Vagues Saxofone Quartet” eseguono musiche di Aleksandr Glazunov (1865-1936), Jean Françaix (1912-1997) e Jun Nagao (1964). Questa “famiglia” strumentale, nata intorno al 1840, presenta risorse timbriche ed espressive smaglianti: strutturalmente omogenei, i registri dei quattro sassofoni (soprano, contralto, tenore, baritono) offrono una tavolozza sonora ricca e cangiante, in certo qual modo paragonabile al quartetto d’archi. Pienezza di suono, dolcezza timbrica, armonia di stampo classico caratterizzano i tre tempi del Quartetto op. 109 di Glazunov, composto nel 1932: meravigliose le Variazioni del secondo tempo, in particolare la terza, à la Schumann. Intrigante, delicata, birichina la Suite di Jean Françaix, opera tardiva (1990) di un mago della scrittura per gli strumenti a fiato. Nei sei movimenti si alternano passi ritmici sbarazzini e sognanti vagabondaggi. Spicca il virtuosismo del secondo tempo (Subito presto), il cicaleccio spiritoso e beffardo del terzo (Scherzo), il nasino all’insù del “Piccolo intermezzo parigino”. Il Quartetto del giapponese Nagao si snoda nelle quattro tappe di un percorso sentimentale: le suggestioni debussiane di “Perdre”, l’affanno di “Chercher”, il conflitto di timbri gravi e acuti di “Aspirer” sfociano infine nella gioia di “Trouver”, cui dà voce l’assolo iniziale del sassofono baritono. Impeccabili i quattro interpreti: classe, tecnica agguerrita, finezza interpretativa. Magnifica registrazione.

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