Quando l’estate sarà finita, torneremo alle letture impegnative: non mancheranno i libri anche per musicisti e musicologi. Ne segnalo due, diversi nel tema, ma di conformazione analoga: una serie di articoli riuniti in un unico volume. Il primo, Costretto ad essere originale: studi su Joseph Haydn (Roma, Istituto italiano per la Storia della musica, 2022), raccoglie contributi che Federico Gon, musicologo e musicista, docente di Storia della musica nel Conservatorio di Vicenza, ha dedicato a un compositore, Joseph Haydn (1732-1809), osannato dai più raffinati amanti della buona musica. Nel secondo libro, La musica di Dante (Roma, Aracne, 2023), Davide Fara guida un drappello di nove studiosi di discipline disparate nel prendere concentricamente di mira il binomio poesia/musica nell’opera del sommo Poeta.

La frase che dà il titolo al libro di Gon l’avrebbe pronunciata Haydn stesso per descrivere la sua condizione nel castello degli Eszterházy, dove prestò servizio per trent’anni. Disponendo di un’ottima orchestra in un ambiente ‘chiuso’, era spinto a sperimentare vie nuove, poteva inventare e osare a piacere, ma l’isolamento dovette pesargli: diceva di sentirsi come ‘in un deserto’, ‘tagliato fuori dal mondo’. Prima dei viaggi a Londra negli anni ’90, che segnarono l’apogeo della sua fama europea, proprio a Eszterházy la sua originalità poté nutrirsi e svilupparsi; lì Joseph apprese a piegare lo stile “sia ai gusti di quella remota corte ungherese quanto al mutevole gusto del più ampio pubblico europeo”.

Nei nove articoli, Gon tocca tanti lati della personalità artistica e umana del compositore, connettendo le analisi delle partiture e dei testi poetici alla biografia e al contesto sociale. Nelle tre sezioni (“L’eredità del passato”, “La contemporaneità”, “Un ponte verso il futuro”) evidenzia fattori poco noti della produzione haydniana, grazie a un lavoro acribico sulle fonti. Accattivante la trattazione delle opere teatrali (Haydn, oggi apprezzato soprattutto per la musica strumentale, concertò per il principe decine di opere buffe proprie e altrui), in particolare il saggio su L’isola disabitata, parole del Metastasio, in cui cantò il giovane soprano Luigia Polzelli; con lei il compositore, assai più anziano, intrattenne una lunga segreta relazione amorosa: il secondogenito di Luigia, Alois Anton, fu forse concepito con Haydn.

Nelle pagine di Gon la Sinfonia n. 100, detta “Militare”, ci appare come la colonna sonora delle guerre scatenate in Europa dalla Rivoluzione. Affascinano i rapporti – documentati o presunti – con musiche di compositori coevi o successivi, C. Ph. Emanuel Bach, Beethoven, Rossini. Qua e là l’intento di Gon di decifrare le composizioni alla luce degli eventi storico-sociali, in sé lodevolissimo, può rischiare la forzatura: non si può spiegare sempre tutto. Ma non inficia il pregio di un volume che per la musicologia italiana – dopo la bella antologia critica di Andrea Lanza, edita dal Mulino di Bologna nel 1999 – rappresenta un cospicuo avanzamento negli studi sul grande compositore viennese.

Un progetto a più voci è il volume dantesco curato da Davide Fara. Che in Dante non scarseggino le interconnessioni fra poesia e musica è noto. Nella corposa prefazione il curatore – autore anche di uno dei saggi — sottolinea come proprio nel nesso poesia/musica si individui la base stessa della concezione e della natura della poesia dantesca, e come qualsiasi discorso di tipo filosofico del Poeta trovi dei riflessi in campo linguistico. Mi limito qui a segnalare alcuni contributi. Chiara Bertoglio, in un denso lavoro di tipo statistico e insieme ermeneutico, censisce i passi della Commedia in cui figurano termini musicali, come ‘armonia’ o ‘cetra’, omettendo le impressioni uditive riferite ai rumori e al parlato: l’indagine rimarca che la musica, elemento fondamentale nel poema, aumenta via via nelle tre cantiche, con un balzo dall’Inferno al Purgatorio. Affascinanti i saggi di Giorgio Monari sul termine ‘sinfonia’ e la presunta adesione di Dante alla “teoria delle sfere”; di Anne-Gaëlle Cuif sugli effetti terapeutici della musica nella Commedia; di Fabrizio Festa, musicologo e compositore, sull’“ascolto del silenzio” come via privilegiata per penetrare il senso del testo dantesco.

Con vivace sarcasmo Carlo Vitali si scaglia contro “la maledizione dei centenarî”, la corriva volgarizzazione della Commedia alla maniera di Benigni, l’iconoclastia del politically correct che non ha risparmiato neppure Dante; ma poi traccia un’illuminante cartografia tra le lingue d’oil, d’oc e dell’italico “bel sì”, ponderandone la rispettiva predisposizione al canto. Al centro delle indagini non sta la sola Commedia: l’italianista Nicolò Magnani, alla luce del De vulgari eloquentia, dice che lo studio della lingua di Dante non può prescindere dal “fondamento teorico della composizione retorica”. Un volume culturalmente ambizioso, a tratti piuttosto esigente per il lettore.

Articolo Precedente

Era talmente tutto, Michela Murgia: come esprimere quanto ci mancherà?

next
Articolo Successivo

Pantheon a pagamento? Il numero dei visitatori cala di parecchio. Il ministero esulta (solo per gli incassi forse): “Sopra le aspettative”

next