Tempi duri per i popoli europei. L’Unione europea non ha mai brillato per i risultati raggiunti nel corso della sua storia ormai quasi settantennale, ma mai aveva toccato il fondo come negli ultimi due anni, specie in connessione coll’avvio della fase conclamata del conflitto ucraino.

Ci troviamo di fronte a un’orrenda caricatura sfigurata di quello che fu il nobile modello enunciato a suo tempo da Altiero Spinelli e dai suoi compagni. Gli artefici di questa progressiva decadenza sono molti, ma senza dubbio i peggiori sono i suoi attuali dirigenti: a cominciare dall’attuale presidente del principale organismo europeo, la Commissione: la signora von der Leyen che è stata denunciata dal New York Times per aver occultato i messaggi che aveva inviato all’amministratore delegato di Pfizer nel contesto dei rapporti che portarono all’acquisto a caro prezzo di un numero evidentemente eccessivo di vaccini per il Covid. Una vicenda che appare fortemente emblematica del disastro neoliberista indotto dalla subalternità alle lobby che, abbarbicate come sanguisughe sulle finanze europee, le volgono a proprio esclusivo beneficio, mentre le politiche di bilancio impediscono di provvedere alla tutela dei fondamentali diritti sociali della popolazione, dalla sanità all’istruzione, a tanti altri ancora. Miliardi di euro vengono buttati per sovvenzionare le lobby in questione.

Oltre a quelle farmaceutiche occorre tenere conto di quelle degli armamenti, oscenamente beneficate col programma Asap, che consente di investire in ordigni di morte i fondi originariamente destinati alle spese sociali. E di quelle energetiche, che continuano a puntare sulle energie fossili a dispetto del disastro climatico che hanno provocato e che stanno bloccando, grazie alla destra negazionista, che da noi sta al governo, le timide misure a favore delle energie alternative – bloccate anche dalle rigidità di bilancio rilanciate alla grande dopo l’apparente tregua dovuta alla pandemia Covid.

Ma il neoliberismo dell’Unione europea non è per nulla un fatto astratto, esso infatti è strettamente connesso alla collocazione internazionale dell’Unione, che rappresenta un’appendice, sempre più periferica e irrilevante, dell’Occidente in caduta libera. La stessa disperata, sanguinosa e pericolosissima guerra in Ucraina, a ben vedere, va intesa alla stregua di manifestazione evidentissima di tale declino irreversibile e non è per nulla casuale che i Paesi dell’Unione che sono in prima fila nella difesa del verbo neoliberista, che si celano sotto la mistificatoria etichetta di “frugali”, lo siano anche nel rinfocolare le impossibili aspirazioni revansciste dell’Ucraina, in particolare mediante le truffaldine promesse degli armamenti che, secondo loro, dovrebbero determinare il rovesciamento delle sorti della guerra, in primo luogo gli F-16.

Assumendosi questo ruolo di guerrafondai sulla pelle altrui, degli Ucraini ormai allo stremo – ma anche dei Russi – Danimarca, Olanda, Polonia e, sia pure più che altro a chiacchiere, l’Italia della Meloni hanno deciso di fare fino all’ultimo il gioco sporco per conto degli Stati Uniti, a loro volta sempre più incerti e contraddittori, specie nella prospettiva delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2024, le quali, comunque vadano, segneranno l’inevitabile registrazione degli umori popolari contrari alla continuazione dello sperpero delle risorse per continuare l’insensato massacro.

Lontano dal sanguinoso pantano ucraino il mondo sta nel frattempo cambiando a vista d’occhio coll’emergere dei Brics, che si rivelano in grado di attrarre nuovi membri, di natura ed estrazione disparata, ma accomunati dalla consapevolezza della necessità di porre fine all’ordine internazionale di stampo neocoloniale che ha retto i destini del mondo negli ultimi cinque secoli. Nessuna eco significativa pare destare questo sommovimento epocale nell’Europa, troppo attenta a contemplare il proprio ombelico autoincensandosi e proclamando in modo sempre più meccanico e infondato la propria presunta superiorità di “giardino nella giungla”.

Certo, fra i candidati ad essere ammessi tra i Brics c’è anche il regno del rinascimento saudita di renziana memoria, autore in questi giorni di un’efferata strage dei migranti che premevano alle sue frontiere. Ma con quale credibilità può tale strage essere condannata da chi da anni fomenta il respingimento dei migranti con ogni mezzo necessario, alimentando regimi come quello saudita colla fornitura delle armi e in tanti altri modi?

La verità è che il passaggio a un mondo multipolare che si sta concretizzando costituirà un quadro utile e necessario per una migliore trattazione e soluzione dei problemi globali che ci troviamo di fronte, dalle guerre al cambiamento climatico alla stessa questione migratoria. Per recuperare un ruolo significativo in questo nuovo contesto che si va prospettando, si richiede un rovesciamento totale del posizionamento politico dell’Europa e dell’Italia al suo interno e quindi la liquidazione di una classe dominante alla frutta che non ci deve trascinare nella sua inevitabile rovina.

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