di Leonardo Botta

Prima di lasciare (spero il più tardi possibile) questa meravigliosa valle di lacrime, vorrò condurre su me stesso un importante esperimento psico-sociologico: concedermi una vacanza come quelle che, qualche decennio fa, migliaia di famiglie spendevano nelle varie località balneari per diverse settimane. In pratica un’intera casa, comprese vettovaglie, soprammobili, cani e gatti trasferita in blocco dalla città al lido per un mese o più.

Ciò che potrei forse concedermi sarebbero le ferie del comparto pubblico: 32 giorni più quattro di festività soppresse (facciamo 30, conto pari). Viceversa, il mio standard è una settimana, di solito da sabato a sabato, a cui aggiungo quando possibile la seconda domenica, per un totale di sette/otto notti. Non avendo io, come si dice dalle mie parti, “rendite spase al sole” dovrò orientarmi su vacanze di luglio (“col bene che ti voglio”) preferendo non chiedere un mutuo per quelle agostane. Naturalmente, niente albergo o villaggio turistico, ma un più modesto anche se dignitoso appartamento.

Risolto (più o meno) l’aspetto economico, si tratterebbe di capire come impiegare questi trenta giorni (720 ore, 43.200 minuti) lontano da casa. Dunque, curando bene l’aspetto logistico (scegliendo una struttura a non più di due-trecento metri dalla riva, per evitare di usare l’auto per il transfert alloggio-spiaggia andata e ritorno), la vacanza si articolerebbe come segue:

  • Spiaggia – primi tre o quattro giorni: bagno di mattina e pomeriggio con intermezzo di pranzo a casa, pennichella istituzionale e russamento libero;
  • Successivo periodo: mare la mattina (un paio d’ore all’alba, prima che il sole cominci ad arrostire la sabbia, che arrostisce i piedi e le altre “parti basse”), pomeriggio a tema libero;
  • Ultimi giorni: fanc.lo il mare!

Hobby – Passeggiate mattutine in esplorazione (ottime anche contro il diabete) fin quando c’è qualcosa da visitare nei paraggi; lettura di un libro (uno basta e avanza, possibilmente non Orgoglio e pregiudizio ma una più abbordabile saggistica light, magari scritta in Arial carattere 18); giornale cartaceo da sfogliare sotto l’ombrellone, leggendo rigorosamente solo i titoli e approfondendo le sole pagine sportive; una o due escursioni lungo la costa (sperando di non beccarne una piatta come quella di Riccione) con pinne e maschera integrale, per un po’ di snorkeling modello barriera corallina ma senza barriera corallina; qualche partita a scacchi (e fa nulla se a scacchi non gioco dal 1986) o a scopone scientifico.

Gite fuori porta – Tutto il visitabile (in un mese, hai voglia) sperando che la location di vacanza si presti: tralasciando per evidente conflitto d’interessi la mia terra, la Campania, mi viene in mente lo splendido Salento nel quale, dopo essersi sparati Lecce, Porto Cesareo, Gallipoli, Otranto e pure Leuca, restano i non meno interessanti paesini interni: Nardò, Galatina e Galatone, Maglie e Copertino (vabbè che così non pare una vacanza, ma la Mille Miglia Brescia-Roma-Brescia!); nelle giornate da termometro impazzito, escursioni in montagna (se sei nel Tavoliere o sul delta del Po, la vedo un po’ difficile).

Feste, sagre, manifestazioni, varie ed eventuali – Di tutto: dal concerto della cover band di Rino Gaetano o Mino Reitano al karaoke con brani neomelodici napoletani, dalla sagra del polpo fritto alla festa del cinghiale scannato, dai fuochi pirotecnici in spiaggia alla processione della Madonna del Carmine (“o Saanta Vergine, prega per meee”). E, dulcis in fundo, al rientro visita specialistica dallo psicologo!

Intanto, per ora mi tengo le mie ferie brevi: in fondo, parafrasando Flaiano, i giorni di vacanza da ricordare nella vita sono sei o sette; tutto il resto fa volume!

P.s.: Ho scritto queste quattro sciocchezze in un’insonne notte ferragostana, sperando di strappare un sorriso ai miei due lettori. A tutti coloro che a stento si son fatti due bagni sulla spiaggia libera più vicina a casa, o le vacanze le hanno dovute saltare a piè pari, un rispettosissimo abbraccio.

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