Ci troviamo di fronte a un cortocircuito ideologico i cui effetti negativi si abbattono sugli individui più deboli, poveri o a vario titolo oppressi ed emarginati. Tale cortocircuito, che è anche filosofico, può essere riassunto così: il ritorno in auge del pensiero reazionario è facilitato dalla deriva grottesca e irrealistica in cui ormai stagna da troppo tempo il pensiero progressista.

Prendiamo ad esempio la questione sessuale. La visione che di essa propone il pensiero progressista – tesa a sminuire il dato biologico della differenza fra maschile e femminile, proponendo di approdare a una concezione fluida, indistinta e intercambiabile secondo le inclinazioni individuali – provoca un disorientamento e una repulsione a mio avviso evidenti in larga parte della popolazione, anche tra coloro che sono moderati o riformisti.

Questo aumenta la forza dei partiti di destra e, conseguentemente, favorisce il riemergere di autori ad essa legati che si sentono legittimati a ritirare fuori argomentazioni farneticanti e gravissime, oltre che appunto reazionarie rispetto all’anno 2023 in cui siamo giunti. Non è solo il caso ultimo del generale Vannacci, il cui libro autoprodotto (quindi privo dei filtri editoriali che garantiscono la decenza di una pubblicazione, qui il discorso sarebbe lungo) ha scatenato molteplici polemiche ma risulta il più venduto online, avendo doppiato se non triplicato le vendite di quello di Michela Murgia, paladina della famiglia queer.

Direi che in generale è il caso di politici ed esponenti della destra ormai al governo, che ogni giorno di più si sentono legittimati dal consenso popolare (perché esso c’è, sia chiaro, ed emerge sia dalle copie vendute dal generale sia dai voti ai partiti di destra) a esternare le proprie opinioni gravi e farneticanti sugli ebrei, sugli omosessuali, sui migranti e in generale su tipologie umane che furono emarginate e perseguitate dai regimi nazifascisti.

La denuncia e l’indignazione per il ritorno in auge di pensieri reazionari tanto gravi e ripugnanti – per di più supportati da un ampio consenso popolare – è netta e doverosa, ma non può essere disgiunta dall’ammissione dei grossi limiti messi in campo dall’ideologia progressista. Tanto più quest’ultima propone le sue visioni, quanto più l’opinione pubblica ne risulta disorientata e viene spinta ad aderire a visioni alternative molto gravi, ma più rassicuranti (perché a un futuro colmo di vuoto, larga parte dell’opinione pubblica preferisce sempre un passato ricco di tradizione).

Non si può pensare di arrivare molto lontano eliminando il concetto di differenza dal campo delle interpretazioni sul reale.

La natura opera queste differenze per definizione. Differenze di genere, di colore della pelle, di bellezza o bruttezza (ahinoi sì, è così), di inclinazioni sessuali etc… Solo riconoscendo tali differenze si può imparare a rispettarle, comprendendo con Aristotele che la differenza è tutt’altro che diversità. Un sasso e un uomo sono diversi, mentre un uomo e una donna sono differenti perché accomunati da un dato di fondo che è la reciproca appartenenza al genere umano. Ecco, allora, che quella differenza può essere vista come una ricchezza.

Pretendere di eliminare le differenze è anzitutto diseducativo e irresponsabile verso le generazioni più giovani. Non è certo illudendosi di eliminare ideologicamente il dato oggettivo che differenzia maschile e femminile, oppure più intelligente o meno, più bello o meno, che si insegna ai giovani la comprensione e il rispetto per l’altro sesso (come anche per i differenti gusti sessuali). Non è così che si insegna loro a riconoscere e accettare i propri limiti in confronto agli altri individui o verso la realtà sociale, magari cercando soluzioni per colmare determinati gap. Non è così che si insegna loro ad accettarsi e valorizzarsi per come si è, in un mondo sempre più “vetrinizzato”, in cui se non compari possibilmente con una bella foto ritoccata di te neppure pensi di esistere.

La differenza è complessità, ricchezza, intelligenza delle cose umane e del mondo. L’ideologia funesta dell’indistinto è la pretesa tutta umana di spogliarsi dei panni dell’uomo per assumere quelli di dio. Un dio che nega la natura, che pretende di annullare con un colpo di bacchetta magica le ingiustizie da essa prodotte nel creare individui tanto differenti fra loro. Che si illude di sconfiggere perfino la morte, come nelle utopie dei transumanisti ammalati di tecnoscientismo. Sarebbe ora di comprendere che l’uomo che pretende di spogliarsi dei panni umani per diventare un dio degrada piuttosto allo stato animale nel senso più deleterio del termine.

Quello di chi studia e conosce sempre meno (come ci confermano tutti i dati). Quello di chi sente il bisogno di autopubblicare le proprie farneticazioni violente e inesatte (l’omosessualità è una differenza contemplata dalla natura fin dagli albori dell’umanità). Quella di chi stupra in gruppo una ragazza indifesa, come è accaduto a Palermo, per poi vantarsi della propria disumanità e condividere con gli amici un baratro emotivo che ci riguarda tutti, perché siamo figli di una società gravemente malata.

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