Fadiga è la fragile bellezza, Coly l’indomita determinazione. Sono l’anima della splendida nazionale senegalese di Bruno Metsu del 2002 (coi vari Diouf e Diop), sono loro che arrivano in Italia nel calciomercato del 2003. Già: nell’estate di vent’anni fa arrivava come grande acquisto Khalilou Fadiga all’Inter, più in sordina, invece, l’acquisto di Ferdinand Coly da parte del Perugia di Luciano Gaucci. Destino simile: entrambi partiti da Dakar a sette anni per trovare miglior fortuna in Francia. Percorsi diversi: a Fadiga bastano un sinistro fatato e la classe sopraffina per emergere, Ferdinand deve lottare, e non si tira mai indietro. Ha un gran fisico e corre, ma anche curiosità e voglia di imparare: mentre gioca nelle giovanili del Poitiers si diploma come ragioniere, non gli basta e si iscrive anche all’università, facoltà di Psicologia.

Intanto però il Poitiers fa il doppio salto di categoria, per Ferdinand il calcio diventa un lavoro e lascia l’università e anche il club, per passare allo Châteauroux. Qui contribuisce alla promozione in Ligue 1 e attira le attenzioni di un club di fascia alta come il Lens, debuttando anche in Europa e sfiorando poi la vittoria della Coppa di Francia, in finale contro il Lione. Poi i mondiali in Corea, la vittoria contro la Francia e la maglia di quella partita, la più importante, ancora appesa in casa sua. Esordisce in Champions League e dopo una breve parentesi in Inghilterra, al Birmingham, passa al Perugia in Serie A. Ma la stagione, nonostante la vittoria della Coppa Intertoto, è negativa: il Grifone retrocede in serie B dopo lo spareggio con la Fiorentina.

Ma in B Ferdinand resta, con i galloni di chi non ci sta: non ci sta, ad esempio, a prendersi le offese razziste, come accade a Verona, quando a fine gara e dopo tanti cori contro si toglie la maglia battendosi il petto, orgoglioso del colore della sua pelle, baciando un braccialetto con slogan antirazzisti. Nella serie cadetta segna quattro gol e fornisce diversi assist, in una stagione che culmina con la sconfitta in finale playoff (col Torino) e, purtroppo, anche col fallimento del club. Coly passa al Parma ormai 32enne: gioca poco nella prima stagione, di più nella seconda e nella terza, che culmina con la retrocessione dei ducali. Ancora una volta però il senegalese è tra quelli che non chinano il capo, reagendo (male) quando i tifosi contestano con qualche parola di troppo. A 35 anni si ritira e comincia un’attività imprenditoriale… che però finisce male: la società di cui è co-titolare, che si occupa di prodotti ittici, fallisce. Ma Ferdinand, com’è nel suo stile, non ci sta: per lui ci sono pesanti responsabilità dell’ex socio, e pretende giustizia. “Non è stato Coly ad essere derubato, ma una società 100% senegalese, e non va bene: ho combattuto per il mio Paese”.

Nonostante la truffa subita, l’ex calciatore non si è dato per vinto: a Saly, in Senegal, ha avviato un’azienda agricola, in cui coltiva mango e altra frutta avvalendosi della collaborazione di ragazzi bisognosi. “Non mi vergogno certo ad andare nei campi, anzi, è una passione e un motivo di orgoglio”. Suo figlio ha seguito la carriera universitaria che Ferdinand aveva interrotto, ottenendo un dottorato in filosofia.
Nella sua casa alle pareti le maglie indossate in carriera, due in particolare: quella del Poitiers e quella che ha indossato ai Mondiali in Corea 2002, nella gara che lo ha visto vittorioso contro la Francia, “e per me hanno pari importanza” ha assicurato. E c’è da credergli: in fondo che sia un campo di calcio dei campionati regionali, dei Mondiali o semplicemente un campo da coltivare, fa lo stesso, se dai il massimo.

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