Un valzer di attaccanti. No, non quello dell’ultima stagione tra Mbappé, Lukaku, Vlahovic, Kane e Osimhen. L’Arabia Saudita all’epoca non era neppure mai arrivati ai mondiali e in Saudi League i giocatori più forti erano Sami Al Jaber e ovviamente Saeed Al Owairan: nessun campione europeo o sudamericano avrebbe mai pensato di giocarci. No, il valzer di attaccanti di trent’anni fa riguarda il Lecce neopromosso di Franco Jurlano, e la musica di sottofondo dettata dallo stesso compianto presidente era scandita dal ritornello: “Per venire a Lecce i calciatori devono costare poco, se costano niente meglio ancora”.

Che già portare la Serie A al Via del Mare nel ’93 era stata un’impresa inaspettata. Quella del 1991/1992 era stata una stagione complicata, conclusa all’ottavo posto in classifica ma dopo che alla 31esima giornata il baratro della C era a un passo, coi giallorossi penultimi in classifica. Perciò la B del 1992/1993 avrebbe dovuto essere tranquilla per i salentini: senza grossi sforzi sul mercato, con qualche giovanotto in prestito come Gabriele Grossi e Alessio Scarchilli dalla Roma, Pierluigi Orlandini dall’Atalanta, più innesti esperti come Stefano Melchiori e Antonio Rizzolo. E invece succede che Maciste Bolchi allestisce un gruppo coriaceo e combattivo, che segna poco sì, ma di gol non ne prende quasi mai e in un finale al cardiopalma appaiato a due giornate dal termine ad Ascoli e Padova, con una vittoria al 90esimo a Bologna e l’altra di misura sulla Lucchese conquista la Serie A. Una traguardo inaspettato, una soddisfazione incredibile per una piazza che ha dato prova nelle due esperienze precedenti in A di poter portare calore e colore alla massima serie.

Bolchi va via, arriva Sonetti, e il presidente Jurlano vuole ancora una volta puntare sui talenti stranieri per stupire in massima serie: d’altronde negli anni precedenti era stato capace di portare in giallorosso campioni del calibro di Pasculli e ottimi giocatori come Beto Barbas e Mazinho (passando per Vincze), avvicinandosi addirittura a portare a Lecce gente come Tigana. Ma stavolta è più complicato: la volontà c’è, l’intuito pure ma i soldi sono pochi. E allora anche i prestiti diventano complicati: si vorrebbe puntare sul ragazzino brasiliano del Milan, Giovane Elber, ma la società rossonera preferisce tenerlo vicino casa, e lo spedisce a Zurigo sponda Grasshoppers. E Nedo Sonetti porterebbe volentieri il suo vecchio pupillo Kubilay Turkyilmaz dal Bologna che intanto è retrocesso in Serie C1 (peraltro proprio per mano del Lecce), ma quando Jurlano sente l’ingaggio dello svizzero desiste.

E allora la soluzione arriverebbe dal Sudamerica: al River Plate di Montevideo c’è un centravanti che si chiama Osvaldo Canobbio. Un attaccante old style, alto un metro e 92 e già nel giro della nazionale: nel ’91 aveva partecipato ai mondiali Under 20 in Portogallo, ma la Celeste era uscita ai gironi, senza segnare neppure un gol. Non certo il migliore dei biglietti da visita per un attaccante. In ogni caso sembrano esserci margini: Osvaldo arriva nel ritiro di Montepulciano e nella prima amichevole disputata contro la squadra locale, di Seconda Categoria, va anche in gol, quattro volte. Nell’amichevole successiva va in difficoltà però: per Sonetti è molto lento, ma il problema maggiore è che il River Plate di Montevideo chiede un miliardo, al massimo 950milioni di lire. Jurlano ne offre al massimo 800 sull’unghia e quindi i dirigenti della squadra uruguayana lo invitano a tornare in patria.

Il Lecce virerà prima su un attaccante ceco, la bandiera dello Sparta Praga, Horst Siegl, ma alla fine opterà per il centravanti brasiliano, ormai 29enne, Carlos Toffoli detto “El Gaucho”: e chissà, magari anche il lento Canobbio avrebbe potuto fare qualcosina in più rispetto al compianto Gaucho, ormai icona storica della “bidonologia” italica. Con Gerson Cacapa, Andrè Gumprecht e Kwame Ayew il Lecce otterrà soltanto 11 punti, arrivando inesorabilmente ultimo e tornando in Serie B nell’ultimo campionato a guida Jurlano. Canobbio invece avrebbe avuto una carriera tra Argentina e Uruguay. W magari oggi potrà dire: “Io quel Lecce l’avrei salvato a suon di gol”.

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