La recente introduzione del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, ha sollevato una tempesta di discussioni in ambito giuridico e tra l’opinione pubblica più avvertita. Ma non è solo una questione accademica. In un’epoca in cui la tecnologia ha ridefinito i confini della nostra privacy, l’equilibrio tra sicurezza e diritti individuali non è mai stato così delicato.

Questo decreto-legge, che si immerge in profondità nel dominio delle intercettazioni, mira a dare chiarezza ad un campo costellato di ambiguità. Nello specifico, si rivisita l’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, tentando di risolvere le contraddizioni emerse nelle interpretazioni giuridiche. La sentenza Scurato, ad esempio, aveva offerto una versione di “criminalità organizzata”, ma successive interpretazioni, proposte da una singola sezione della Cassazione, hanno mescolato le carte in tavola.

Questo gioco del “tira e molla” tra diverse sezioni della Cassazione mette in evidenza la sfida di mantenere la coerenza nella giurisprudenza, mentre questo instabile gioco di interpretazioni evidenzia una questione fondamentale: era davvero necessario un decreto-legge per risolvere questi problemi? Oppure si è trattato di un intervento precipitoso, magari sotto l’influenza di figure di potere? In un contesto in cui un’intercettazione può essere dichiarata inammissibile a causa di incertezze interpretative, la risposta non è semplice.

L’art. 1 del nuovo decreto-legge vuole colmare queste lacune, dando solidità normativa a ciò che era precedentemente lasciato all’interpretazione. Ma con questa solidità emergono nuovi problemi, in particolare riguardo alla retroattività. Come influenzerà le indagini passate, basate su interpretazioni ora superate? Il vero dilemma, infatti, si trova nel modo in cui è stato strutturato l’intervento legislativo.

L’art. 1, co. 1 del decreto-legge richiama specifici delitti, rendendo così legge un principio che era già stato stabilito dalle Sezioni Unite. Ma se il diritto vivente diventa legge, cosa ci guadagniamo realmente in termini di chiarezza? L’idea era quella di avere una norma di interpretazione autentica, che avrebbe conferito alla disposizione originale un significato ben preciso sin dal suo primo momento di entrata in vigore. Ma le norme di interpretazione autentica devono essere rigorose nella loro definizione e non possono mascherare tentativi di innovazione normativa, come parrebbe in questo caso.

Oltre a queste sfide giuridiche, però, la tecnologia ne presenta di proprie. Viviamo un’era di trasformazione digitale: comunicazioni criptate, telefonate mobili e canali di comunicazione quasi impenetrabili sono diventati la norma. E la criminalità organizzata, con le sue risorse e il suo ingegno, si muove rapidamente perché, lungi dall’essere estranea a queste evoluzioni, le ha abbracciate. Questo ha creato una vera e propria “corsa agli armamenti” tra investigatori e criminali. Mentre queste ultime adottano nuove tecnologie per proteggere la loro privacy e sfuggire alle indagini, le forze dell’ordine devono evolversi parallelamente per tenere il passo.

Ciò porta a una competizione continua tra investigatori e criminali. E, in questo contesto, un’altra domanda si fa strada: dove tracciamo il confine tra la necessità investigativa e il rispetto dei diritti dei cittadini? Con l’avanzare della tecnologia, le forze dell’ordine possiedono strumenti senza precedenti. Ma questi strumenti devono essere usati con saggezza, bilanciando sicurezza e privacy.

La privacy, in particolare, è diventata un pilastro dei diritti civili, trasformandosi spesso in una bandiera ideologica di posizioni ultragarantiste. Per questo la fiducia e la trasparenza sono essenziali in ogni democrazia. I cittadini devono essere informati e comprendere bene le operazioni di sorveglianza. Se fossi il Ministro Nordio, piuttosto che attaccare tale strumento, favorirei campagne informative spiegando la natura, lo scopo delle intercettazioni e sottolineando l’importanza di tali strumenti nella lotta alla criminalità. con l’obiettivo di educare le persone sui loro diritti in relazione ad esse.

Affinché la fiducia sia consolidata, è essenziale che ci siano canali chiari e accessibili per i cittadini dove presentare reclami o esprimere preoccupazioni. Questo fornirebbe riscontri preziosi alle forze dell’ordine che, oltre la collaborazione con organizzazioni civili e la pubblicazione di rapporti periodici, potrebbe costruire un ponte di fiducia tra il pubblico e le autorità.

Il decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, è dunque molto più che una semplice questione giuridica. È un riflettore sul futuro delle nostre società, sul ruolo delle tecnologie e sulla nostra capacità di adattarci in modo attivo. Man mano che la tecnologia avanza e le definizioni legali diventano sempre più complesse, la nostra sfida principale sarà trovare l’equilibrio tra la protezione della società e il rispetto inalienabile dei diritti dei cittadini. Una sfida che merita tutta la nostra attenzione e impegno.

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