L’Agenzia delle Entrate si impegna a recuperare quest’anno almeno 18,1 miliardi di imposte evase, a fronte dei 20,2 miliardi (di cui 19 da attività di controllo ordinarie) riportati nelle casse dello Stato nel 2022. Messa così non sembra un obiettivo particolarmente ambizioso, tanto più che la nuova Convenzione 2023-25 stipulata con il ministero dell’Economia e registrata nei giorni scorsi dalla Corte dei Conti non fa che confermare, per il 2023, la cifra contenuta in quella precedente, siglata dal governo Draghi. Resta il fatto che il documento, nel complesso, alza i target di riscossione di 2,8 miliardi tra 2022 e 2025. E l’esecutivo di centrodestra – nella persona del viceministro con delega al fisco Maurizio Leo – ci mette il timbro, nonostante abbia inserito nella sua prima legge di Bilancio dodici condoni, varato uno scudo penale per gli evasori condannati in primo grado, paragonato il recupero di gettito a “pizzo di Stato” e vagheggiato una ennesima pace fiscale.

È la dimostrazione che, al netto della propaganda, si prosegue sulla linea di Realpolitik seguita fin dall’inizio dal dicastero di Giancarlo Giorgetti. Che deve rispettare gli obiettivi di riduzione del tax gap previsti nel Recovery plan, per quanto ora la percentuale di miglioramento da centrare sia in fase di rinegoziazione con la Commissione europea. Già nell’atto di indirizzo dello scorso febbraio il Mef aveva messo tra le priorità l’uso di nuove tecnologie e analisi dei dati (in netto contrasto con le sparate elettorali del centrodestra contro il “Grande fratello fiscale”) per rendere più efficaci i controlli. E infatti dalla scorsa primavera le Entrate stanno finalmente sfruttando le informazioni dell’Archivio dei rapporti finanziari e quelle che arrivano dalle fatture elettroniche per individuare le posizioni sospette: presto arriveranno i primi risultati, come annunciato dal direttore delle Entrate Ernesto Maria Ruffini sul Corriere. Il documento che regola i rapporti tra ministero e agenzie fiscali conferma che si proseguirà in quella direzione.

Per il 2024 è stato fissato un obiettivo di riscossione pari ad almeno 19,3 miliardi che salirebbero a 19,6 nel 2025. Ma bisogna tenere presente che i numeri vengono rivisti ogni anno in occasione della nuova convenzione, per cui quelli di medio periodo sono passibili di successive modifiche e assai poco vincolanti: basti dire che il testo del 2022 prevedeva per quest’anno un livello minimo di riscossione da ruoli di 11,4 miliardi mentre quello appena pubblicato riduce quel valore a 9,9 miliardi. Quelli che più rilevano, insomma, sono i target 2023. Sul fronte degli incentivi bonari al pagamento – la “prevenzione” – già entro fine anno i versamenti propiziati dalle lettere di compliance del fisco dovranno arrivare a quota 2,8 miliardi, anticipando il raggiungimento di un target intermedio del Pnrr fissato per il 2024. Per quanto riguarda invece l’area dei controlli e del contrasto vero e proprio all’evasione, le entrate complessive dovranno attestarsi ad almeno 15,3 miliardi di cui 5,1 recuperati tramite gli agenti della riscossione e 10,3 di versamenti diretti da accertamento (4,25 miliardi) o in seguito a comunicazioni di irregolarità (6). Per il 2022 l’obiettivo era di 14,4 miliardi, ampiamente superati a consuntivo.

Per arrivarci l’Agenzia conferma l’impegno – quei paragrafi sono identici a quelli della convenzione 2022 – a “selezioni più mirate dei contribuenti a maggiore rischio di evasione, rese possibili dall’applicazione di strumenti di data analysis più avanzati quali lo sfruttamento dei big data e dall’interoperabilità delle banche dati, favorita dalla pseudonimizzazione delle informazioni”. In particolare, analisi e controlli incrociati saranno migliorati sfruttando “le potenzialità derivanti dall’utilizzo di informazioni provenienti da enti esterni, di quelle di natura finanziaria contenute nell’Archivio dei rapporti finanziari, nonché dei dati derivanti dalla fatturazione elettronica e dalla trasmissione telematica dei corrispettivi”. Il fisco andrà avanti anche nell’utilizzo di “nuovi strumenti e progetti di analisi avanzata dei dati” e “applicazione di tecniche come l’intelligenza artificiale, il machine learning e il text mining“. E un miglioramento degli algoritmi di selezione dovrebbe migliorare la qualità delle lettere di compliance, riducendo i casi di “falsi positivi”.

Come sempre, i premi di risultato per i dipendenti del fisco dipenderanno anche da indicatori che misurano la qualità del servizio fornito ai contribuenti: velocità dei rimborsi Iva e delle risposte a chi chiede assistenza, potenziamento dei canali telematici, riduzione dei ricorsi legati a errori del fisco. Nessun incentivo è invece previsto, precisano le Entrate, sulla base di “accertamenti emessi e ammontare delle riscossioni complessive”.

Quanto basta per zittire la premier Giorgia Meloni, che nel suo discorso programmatico aveva sostenuto che la valutazione dei risultati delle agenzie sia legata alle “semplici contestazioni“. E solo due mesi fa, partecipando alla festa della Repubblica, ha di nuovo deprecato la presunta “caccia al gettito“. Ora quel gettito serve come non mai, anche per finanziare la legge di Bilancio, e il tempo per gli slogan è scaduto.

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