di Stefano Briganti

Nelle ultime settimane alcuni avvenimenti aprono alla possibilità di vedere una luce in fondo al mortifero tunnel del conflitto russo-ucraino.

Iniziamo dal sondaggio commissionato dalla CNN a SSRS nel periodo 1-31 luglio e pubblicato il 4 agosto. Il sondaggio ha verificato l’opinione degli americani su temi che riguardano il conflitto russo-ucraino. Il 51% degli intervistati dichiara che gli Usa hanno già fatto abbastanza per Kiev (era il 38% a febbraio 2022), il 55% ritiene che non si debbano autorizzare ulteriori fondi per l’Ucraina, il 56% disapprova Biden nella relazioni con la Russia e il 53% lo disapprova nella gestione della crisi ucraina.

Solo il 43% degli intervistati ritiene si debbano dare ancora armi a Kiev. L’82% è preoccupato per una guerra lunga.

Questi dati non possono essere ignorati da Biden che sta per iniziare la campagna presidenziale. Al Presidente, che correrà per il secondo mandato, occorre intestarsi un risultato positivo nello sviluppo del conflitto, ma continuare ad inviare armi e aiuti in Ucraina gli potrebbe ridurre l’elettorato.

Un altro avvenimento sono gli incontri di Copenhagen e di Jeddah voluti da Kiev, Usa e Ue per coagulare un consenso internazionale attorno ai “10 punti di Zelensky per una pace giusta”. In entrambi gli incontri la Russia non è stata invitata perché l’obiettivo non è quello che avevano le delegazioni russa e ucraina che si riunirono il 26 febbraio 2022 e che cercarono e trovarono (28 marzo a Istanbul) un accordo, poi annullato il 4 aprile da Zelensky. Ora si mira a dare un “peso internazionale” a ciò che Kiev e gli alleati vogliono mettere sul tavolo negoziale con Mosca.

Sul piano militare le cose non stanno andando come gli alleati avevano previsto. La macchina bellica russa, che non è stata fermata dalle sanzioni economiche, da 550 giorni sta producendo un volume di fuoco che risponde senza sosta a quello prodotto da oltre 50 miliardi di dollari di armi occidentali.

La controffensiva di Kiev per riprendersi i territori occupati sta languendo. Lo stesso Zelensky ammette che sta procedendo al di sotto delle aspettative ed è giudicata “deludente” e “molto lunga e sanguinosa” dagli alleati. Insomma la posizione di forza per una negoziazione che le armi occidentali avrebbero dovuto dare a Zelensky è lontana dal materializzarsi.

E’ così che i primi due avvenimenti, intrecciandosi, potrebbero sviluppare l’inizio di un percorso di fine conflitto. La nuova strategia sembra essere quella di ricercare, nel “peso internazionale” in appoggio al piano di Zelensky, quella posizione di forza da dare a Kiev che le armi non sono riuscite a dargli. Questo permetterebbe a Biden di portare in campagna elettorale il risultato di un tavolo di trattativa Ucraina-Russia e di rallentare l’invio delle armi grazie ad un cessate il fuoco.

Già circolano voci di trattative tra l’autunno 2023 e l’inverno 2024 nel pieno della campagna elettorale Usa. Sebbene ciò sia una flebile speranza per una fine dell’orrore, ci sono incognite che potrebbero spegnerla. Innanzitutto le divergenze emerse tra i pesi massimi Cina-Brasile e l’Ucraina sui contenuti della proposta da portare a Mosca, sebbene ci sia accordo sull’integrità territoriale. Poi c’è Kiev che si rifiuta di sedersi al tavolo con Putin e guarda alla Cina come mediatore che negozi in sua vece (ma che interesse avrebbe la Cina a fare un braccio di ferro con Mosca per Zelensky?).

Infine anche in Russia ci sono le presidenziali (marzo 2024). Per quanto artefatto e gonfiato possa essere il risultato dei sondaggi, la maggioranza dei russi approva l’operato di Putin, che in campagna elettorale difficilmente accetterebbe una trattativa con Kiev per “interposta nazione”, in una posizione che non sia almeno alla pari e su punti sui quali non ha potuto avere voce in capitolo. Al momento non ci sono segnali sulla soluzione di queste incognite, ma le necessità della campagna elettorale di Biden possono far sperare che vengano risolte e che inizino le trattative.

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