Il rilancio dell’attualità del pensiero marxiano, di cui riferisce con dovizia di interessanti spunti l’ultimo numero di Millennium, pare una conseguenza inevitabile del modello dominante di sottosviluppo del pianeta che ci sta mandando tutte e tutti a ramengo.

Pare in effetti difficile, anche per il più ottuso fan del capitalismo, non capire che le gravi problematiche cui siamo di fronte, e che mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa della specie umana, dal cambiamento climatico alla guerra, dalle pandemie alla criminalità organizzata, dalle disuguaglianze crescenti alla desertificazione sociale, culturale ed economica del pianeta, derivano in modo più o meno immediato dall’adozione di un sistema feticistico che pone l’accumulazione esasperata e tendenzialmente infinita del capitale al di sopra di ogni altro obiettivo e valore.

Nell’attuale momento storico, caratterizzato dal passaggio a un sistema multipolare in un contesto di pericolose conflagrazioni belliche, vengono al pettine i nodi dell’assetto prima coloniale e poi neocoloniale che hanno contraddistinto il capitalismo per oltre cinquecento anni, e quindi praticamente fin dal suo sorgere. In una situazione di questo genere l’impegno dei partiti e dei movimenti che si pongono in quest’ottica epocale appare ancora drammaticamente insufficiente.

Tale discorso riguarda in modo peculiare il nostro Paese, le cui esperienze tendiamo a volte a sottovalutare o a ritenere, con tipico spirito provinciale, espressione di tendenze tutto sommato retrograde e irripetibili, ma che invece conferma il suo ruolo storico di fondamentale laboratorio di sperimentazione, più nel male che nel bene.

Il melonismo, come sintesi creativa tra berlusconismo e draghismo all’insegna di un recupero di taluni aspetti del fascismo storico, come soprattutto la tendenza guerrafondaia e, sia pure per il momento alquanto sotto traccia, quella della repressione autoritaria, costituisce un fenomeno che non può essere sottovalutato.

Come in altri tempi, il fascismo – sia pure nella versione modernizzata di Meloni & C. – è utile alla classe dominante perché mette in discussione la stessa legittimità della lotta di classe, come dimostrato da attacchi polizieschi e persecuzioni giudiziarie nei confronti di chiunque si ostini a praticarla. Tale legittimità invece va riaffermata con forza perché costituisce l’unica speranza per opporsi all’oppressione in essere ed evitare lo sfacelo.

Il governo di Meloni invece pare animato da un vero e proprio odio di classe nei confronti di poveri e lavoratori, come dimostrato dall’accanimento contro il reddito di cittadinanza e dalle uscite isteriche di Brunetta che nega la parola ai lavoratori dipendenti ritenendoli alla stregua di paria indegni.

La scelta del capitalismo italiano e, per molti versi, di quello internazionale, cade oggi in modo consapevole su di una destra di tipo meloniano che sembra l’unica in grado di garantire la permanenza di un sistema che fa acqua da tutte le parti, ma continua imperterrito ad infliggere sofferenze crescenti alle persone, devastazioni all’ambiente e danni alla stessa legalità borghese che nel contesto italiano si rivela sempre più un mito privo di ogni fondamento nella realtà.

Si tratta di una scelta disperata perché Giorgia ha limiti enormi, si circonda di collaboratori raccogliticci e diversamente capaci e il suo governo appare condannato ad inevitabile precarietà per le incognite di carattere generale e le bizze di alleati che subiscono con evidente sofferenza la sua primazia. Nel suo primo anno di governo, tuttavia, ha svolto egregiamente i compitini richiesti, adattandosi piattamente e senza ombra di critica alle compatibilità di fondo che consistono nella totale consonanza colla Nato pronta alla sfida finale col resto del mondo, coll’Unione europea che ribadisce in modo esasperato la sua impostazione neoliberista e colle organizzazioni imprenditoriali che vedono nella totale sottomissione della forza-lavoro l’unica strada praticabile.

Il governo di Giorgia Meloni quindi è la dimostrazione vivente della realtà della lotta di classe, che però i padroni stanno facendo a senso unico senza trovare la benché minima resistenza degna di nota.

Si rende necessaria un’alternativa globale e di sistema a tutto ciò. Ciò determina il sorgere, in chiunque non accetti la nostra deplorevole situazione, di responsabilità che risultano aggravate dalla palese inadeguatezza, sia politica che intellettuale lato sensu, dei rottami di quella che un tempo era la sinistra più forte e creativa dell’intero mondo occidentale.

Ma non c’è alternativa al rilancio, anche in Italia, di un blocco sociale anticapitalistico, antagonista e contrapposto allo schieramento bipartisan dei cognati ed affini, che sappia intervenire, in modo organico e coordinato, su tutte le contraddizioni create dall’attuale fase di agonia perniciosa del capitalismo, anche nella sua variante nostrana, che dispiega oggi, di fronte ai nostri occhi impauriti ed esterrefatti, tutta la sua potenzialità distruttiva della quale le giovani generazioni, e quelle future, pagano oggi un prezzo insopportabile e inammissibile.

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