A Milano i musei pubblici si sono legittimamente vantati d’aver registrato un milione e centomila e rotti ingressi nei primi sei mesi dell’anno (non sono inclusi i dati di Hangar Bicocca, Fondazione Prada e altre istituzioni private), a fronte di un record di turisti battuto ufficialmente a quota quattro milioni di presenze. Come dire che più di uno su quattro dei visitatori della metropoli lombarda vive anche una fruizione culturale.

Molto meglio, per carità, dei record del cosiddetto distretto di Como Lake, l’area invasa dai ‘selfie-centi’ di tutto il mondo che vogliono immortalarsi sullo sfondo delle ville di George Clooney o di Chiara Ferragni. Mantenere intatta la molla culturale in una destinazione turistica, anche se di per sé sarebbe già frequentatissima, come appunto Milano e la Lombardia, determina una più armonica composizione dello spaccato dei visitatori.

E’ la cultura, in sostanza, che evita di ritrovarsi soltanto consumatori da ipermercato del lusso, oppure peggio, come certe note località balneari mediterranee, solo alle prese con i problema che creano – per dirla con Alain Elkann – le orde di ‘lanzinecchi’ drunken-oriented.

E non è solo una questione di offerta museale, come dimostra anche solo il confronto di Milano con la vicina metropoli post-industriale francese di Lione, dove oltre all’eccellenza del cibo e del buon vivere sono le molte manifestazioni culturali a fare da volano di marketing turistico. Un forte investimento per le arti e lo spettacolo, che in apparenza rischia di essere ‘a perdere’, si rivela poi una risorsa anche in termini di ‘generatività’, come si usa dire oggi.

La Biennale di Lione, per esempio, dove si alternano un anno l’arte e un altro la danza, non attira soltanto tantissimi visitatori e addetti ai lavori da tutta Europa, ma crea anche una sorta di salutare corrente d’idee e di esperienze internazionali, che in primo luogo si concretizzano con il metodo delle residenze artistiche, e che lasciano segni profondi.

Si può dire altrettanto, per fortuna, di alcuni particolari investimenti culturali che da anni sono mantenuti in piedi nelle aree del Nord est italiano a più radicata vocazione turistica, proprio in che certo non avrebbero bisogno di richiamare altri visitatori.

Una provincia autonoma come quella di Trento, con le sue montagne, potrebbe anche risparmiarsi i fondi per allestire ogni anno una splendida manifestazione musicale in quota, intorno ai rifugi e alle cime, come ‘I Suoni delle Dolomiti’. E forse qualcuno ci ha pure pensato, come per il festival ‘cugino’ di Oriente Occidente (pensato in origine con il direttore Lanfranco Cis da Paolo Manfrini, un intellettuale che è stato poi anche l’ideatore appunto de I suoni delle Dolomiti), che fa di Rovereto all’inizio di settembre una delle capitali internazionali della danza.

Certo, per dirla con una semplice battuta, non sono politiche culturali che possano piacere a chi preferisce i concertoni di Vasco Rossi e gli orsi in gabbia, ma per adesso, sia I suoni delle Dolomiti, sia Oriente Occidente, sopravvivono alla grande, grazie alla fama e all’importanza raggiunti con un taglio originale, fortemente di tendenza, senza sconti, con un’apertura alle novità e ai linguaggi anche più provocatori della scena contemporanea.

Basta scorrere con attenzione il programma dell’edizione fortemente ecologista e impegnata che si aprirà il 2 settembre e che prevede quattro o cinque prime di rilievo davvero internazionale, numerosi spettacoli itineranti e in luoghi simbolo come il Mart, nonché varie altre chicche. Naturalmente una tale energia che si sprigiona nei giorni del festival non resta episodica, ma si produce grazie a scambi vitali, residenze artistiche e il contributo di tanti giovani del posto.

Ancor più da manuale il caso dell’Alto Adige. Anche quest’anno a metà settembre si aprirà a Bolzano il singolare festival delle culture Transart, con un evento di spettacolo ad alto calore aggiunto, un’esibizione delle Pussy Riot russe, il gruppo femminile più noto tra i coraggiosi oppositori del regime di Putin. Poi, per una decina di giorni, Transart23 offrirà, anche in vari luoghi simboli della provincia autonoma, un programma davvero ricco e d’avanguardia program che prevede ancora la prima italiana della controversa coreografa Florentina Holzinger, un progetto per orchestra del co-fondatore dei Daft Punk Thomas Balganter, una grande installazione dell’architetto illusionista Hans-Walter Mueller e una performance dell’artista Roman Signer.

Del resto, la forza e l’unicità di Transart sono proprio l’apertura internazionale e l’attenzione alla musica (a 360 gradi, dai corni alpini alla contemporanea e al clubbing) garantite anche solo dalla presenza di Peter Paul Kainrath, fondatore e direttore del festival bolzanino, pianista e protagonista culturale di prim’ordine, che sovrintende tra l’altro alla raffinata orchestra viennese di musica contemporanea Klangforum.

A rendere ancor più suggestiva questa edizione, alcune chicche che sicuramente i sudtirolesi tradizionalisti che sono ancora lì a venerare il ritratto di Andreas Hofer, troveranno perlomeno provocatorie, come l’intera giornata dedicata all’intellettuale atipico e incompreso norber c. kaser (voleva che il suo fosse rigorosamente scritto così in minuscolo, il poeta autore del proverbiale ‘alto adige, alto fragile’), cui parteciperà anche Madame Nielsen, la guest-star ‘non identitaria’ di Transart23.

Transart porterà di nuovo a Bolzano e in giro per le prime Dolomiti turistiche, un’avanguardia internazionale di artisti, addetti ai lavori della cultura e visitatori interessati, soprattutto germanofoni, che contribuiranno di certo a rinfrescare l’aria rispetto al cosiddetto ‘over-tourism’, che anche i decisori pubblici cominciano a non tollerare, meditando sulle proposte che lanciano le voci più sensibili, come l’albergatore intellettuale Michil Costa: “È giunto il momento di chiudere i passi dolomitici, è giunto il momento di mettere una carbon tax e di obbligare noi tutti a calcolare un’impronta ecologica. Chi visita la val d’Orcia o le Dolomiti dovrebbe prenotarsi con sette anni di anticipo, per poi godere più profondamente delle nostre meraviglie. Tutto ciò che non è facilmente reperibile è accattivante. Di turisti che visitano luoghi di straordinaria bellezza in poche ore possiamo anche farne a meno”.

In foto: Macos Morau, La Veronal, FIRMAMENTO, ph_Marina Rodriguez

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