Chiariamo subito una cosa: io non mi sento un poeta. Non sono un poeta, ma so ascoltare i poeti e saperli ascoltare è forse una forma di poesia. Nel mio percorso di ascolto ho catturato l’anima di alcuni poeti: Alda Merini, Beatrice Niccolai, Nicolino Pompa e Gabriele Contini. A parte Alda Merini, sono tutti poeti quasi sconosciuti o comunque di nicchia (la benedetta e maledetta nicchia) e il mio sogno è quello di “snicchiarli”, cioè di farli conoscere e apprezzare da un pubblico più vasto. Il problema di fondo è che anche io sono un regista di nicchia! Nicchia su nicchia produce altra nicchia. Come uscire da questa nicchia e perché uscirne? Non lo so, forse ognuno di noi ha sogni di gloria, di successo, di fama, credo sia profondamente umano e comprensibile.

Pasolini diceva che il successo è un’altra forma della persecuzione, quindi forse è meglio restarsene al riparo nella celeberrima nicchia e godersi questa sorta di anonimato poetico. In ogni caso oggi dedico questo post al mio amico Gabriele Contini, poeta che vive tutte le contraddizioni della cosiddetta realtà, soffre di turbe della cenestesi, il male di vivere se lo beve fino all’ultima goccia, è come se l’universo gli andasse stretto, con lui Dio è stato un sarto imperfetto, e Gabriele va in giro per Milano con i suoi vestiti spiegazzati, con la sua tinta ai capelli che mostra la ricrescita, con il suo viso “scimmiesco” spesso attraversato dall’agonia psichica. Sa masticare la parola come ogni poeta, ma la sua psiche non articola parole, la sua psiche è intessuta di urla che lo portano sempre sull’orlo della follia. Va avanti con gli psicofarmaci, anche se il suo camminare è perlopiù un barcollare, egli barcolla nella luce.

Gabriele è vivo, si porta dentro un fanciullino che lo fa cantare in mezzo alla strada, Gabriele ha una memoria prodigiosa, conosce il testo di molte canzoni di Marcella Bella, Vecchioni, I Nomadi e tanti altri. Si definisce frastornato perché cerca delle risposte alla sua condizione, ma non le trova, è affamato di assoluto, pur sapendo che l’assoluto non è di questo mondo, allora prova a sostenersi, a puntellarsi attraverso l’esoterismo, lo yoga, l’estasi mistica, l’ipnosi, la telepatia, ma sono tutti tentativi destinati allo scacco esistenziale, questo Gabriele lo sa bene, infatti ogni tanto il suo volto si scuce in una risata farsesca, autocanzonatoria.

Gabriele è in cerca di notorietà, per sentirsi meno solo, meno accerchiato da se stesso. Nel mio piccolo cerco di portarlo alla ribalta. Credo nella sua verità di poeta e non mi sottraggo al compito che mi sono dato. Ha il pallino della performance artistica, anni fa voleva portarmi a Mosca, non ho ben capito a fare cosa, ma ormai (e per mia fortuna) è una cosa irrealizzabile, non credo che Putin abbia un grande senso dell’umorismo. Abbiamo in programma di fare una Marcia su Roma artistica, in autostop, con un polpo in mano, l’idea è quella di fare “un polpo di stato”, ma non credo che le televisioni copriranno questa performance e alla fine saremo soli come sempre, soli col polpo (da fare con le patate). Ora ha l’idea fissa di fare una performance in cui si fa fare un clistere da una hostess per poi nettarsi con le pagine del suo amato Gabriele d’Annunzio. Sto tentando di dissuaderlo con ogni mezzo, proverò anche con l’ipnosi! Se non funziona l’ipnosi proverò con la telepatia. Non mi sembra la via migliore per raggiungere la tanta agognata notorietà.

In fondo a me Gabriele piace così: tormentato, frastornato e sconosciuto. Da famoso diventerebbe banale, mentre così è geniale, secondo me. Ha il genio della solitudine e del tormento. Se Dio vuole questo mio pezzo non lo renderà un poeta celebre, anche perché quando parlo di poesia ci sono solo quattro gatti che mi seguono, e quindi la maledizione e benedizione della nicchia resterà intatta e illesa. Per chi ha tempo e voglia però vi consiglio di vedere l’ultimo film ritratto che gli ho dedicato (che posto alla fine di questo scritto), conoscerete un uomo singolare, vero, tenero, così disperato da essere paradossalmente un uomo felice.

Gabriele, tu sei un uomo felice e non sai quanto. Pensa, se fossi famoso dovresti andare in giro a fare quelle noiosissime letture di poesia, magari con un insopportabile accompagnamento musicale, che dici? Non è meglio sosrseggiare un caffè con il tuo amico regista e parlare del più e del meno? Quando il tuo più è l’eccesso di vita e il tuo meno è semplicemente un Dio che ti ha fatto un vestito troppo stretto per questo mondo infame e glorioso. E io non voglio più essere io.

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