Ho iniziato negli anni Settanta dello scorso secolo a frequentare le montagne, intese come Alpi Liguri e Marittime. Da buon ligure, amavo le bianche cime anziché l’azzurra distesa del mare. E ricordo bene quando (nei fine settimana, si noti bene) io e i miei compagni prendevamo le chiavi in fondo valle per raggiungere i rifugi dove avremmo dormito per poi fare l’ascensione il giorno successivo. Erano strutture incustodite, con tutto ciò che questo comportava: il privilegio di essere spesso soli e nel silenzio; il disagio (ben sopportabile) di non potersi lavare, di dovere scaldare l’ambiente con la stufa e mangiare quel poco che ci portavamo nello zaino. Sono stati sufficienti pochi decenni e tutto è cambiato.

Innanzitutto ai rifugi del CAI si sono aggiunti quelli privati, e sono aumentati i bivacchi. E ormai non c’è più un rifugio che non sia custodito. Ai tavolacci si sono sostituite le camerette. Non solo ci sono i bagni, ma talvolta anche le docce. Se ti porti da mangiare vieni confinato in un angolo e vieni guardato storto. Ma mi dico che tutto questo ci può stare: vige ancora un certo regime di sobrietà. In fondo, il termine “rifugio” vuole ancora dire qualcosa. Ma è in atto un’ulteriore evoluzione, specie nelle Alpi Orientali, e poi vedremo se prenderà piede dappertutto.

Un’evoluzione che sta snaturando il rifugio, equiparandolo ad un hotel, e spesso neppure un hotel di livello modesto. Due articoli del 26 luglio sul giornale online Il Dolomiti ci illustrano lo stato dell’arte. Il primo è una dichiarazione rilasciata dal presidente del CAI Alto Adige, Carlo Alberto Zanella, il quale si lagna del fatto che la montagna sia sempre più simile ad un divertimentificio e i rifugi abbiano sempre più le caratteristiche di un qualsivoglia ristorante di pianura. Magari vista mare.

“In montagna abbiamo costruito panchine giganti, parchi giochi e ormai ogni tipo d’attrazione per turisti…si perde l’essenza dell’esperienza in quota e ci si scorda di guardarsi intorno, godendo della vista di boschi e panorami mozzafiato. Per me, la montagna è proprio questo ma pur di accontentare un certo tipo di ‘clientela’ si arriva a proporre qualsiasi cosa. Lo sbaglio non è del turista che sceglie di fare una determinata esperienza ma di chi la propone: non resta che chiedersi cosa si inventeranno in futuro”. I riferimenti che fa Zanella sono all’offerta di pesce o crostacei di mare e cocktail in alta quota, alle cene in cabinovia, alla realizzazione di saune a 3000 metri.

L’altro articolo fa riferimento al caso di escursionisti che nella struttura vogliono saldare il conto con la carta di credito, ma spesso manca la connessione e non risulta facile accontentarli. “Non abbiamo nulla in contrario all’utilizzo del pos ma c’è da prendere in considerazione un fatto cruciale: la montagna non è la città e questo significa ad esempio che, se c’è un temporale, potremmo non avere la connessione per 5 o 6 ore”.

Torniamo un attimo indietro, alle saune a 3000 metri di quota, come avviene al Rifugio Lagazuoi, il più alto di Cortina d’Ampezzo. Così si giustifica il gestore: “Offrire servizi in più in un rifugio che sorge a quasi 3mila metri di quota significa stare al passo con i tempi. Rispetto i ‘puristi’ della montagna ma la verità è che chi approda in quota, prima ancora di chiedere informazioni su escursioni e sentieri, chiede dove trovare la presa di corrente per caricare il telefono o la password del wi-fi”. Ovviamente la scelta di realizzare una sauna ha avuto un enorme successo specie presso la clientela nordica.

Due considerazioni mi sento di fare in conclusione. La prima – operativa – è che il CAI dovrebbe dismettere quei rifugi che offrono servizi che con il rifugio non hanno nulla a che spartire. Mi rendo conto che sarebbe una scelta gravosa in quanto il sodalizio rinuncerebbe agli affitti che ritengo anche lucrosi trattandosi di strutture spesso situate in zone ambite, ma sarebbe una questione di coerenza. La seconda – di costume – è che – alla faccia del green e della resilienza – si nota da parte di una larga fetta di escursionisti l’esigenza di avere sempre più comfort e di godere sempre più del superfluo.

A differenza di quanto afferma Zanella, il difetto sta anche nel turista, non solo nel gestore che si adegua, il turista che vuole stare come a casa sua, anzi, se possibile, meglio. Certo che se si vanno a realizzare degli Skylodge in Val di Lanzo, o delle Starlight Room al Passo Falzarego, il futuro è segnato.

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