Mentre le banche festeggiano bilanci da record grazie ai rialzi dei tassi decisi dalla Banca centrale europea, esattamente per lo stesso motivo le famiglie fanno sempre più fatica a far quadrare i conti. Le rate di mutui a tasso variabili e prestiti continuano a salire rapidamente, l’inflazione (che pure i rialzi dei tassi dovrebbero contrastare), fa il resto. L’ultimo di una lunga serie di allarmi arriva dalla Fabi, il principale sindacato dei bancari. In un rapporto sul tema segnala come un punto percentuale degli stipendi delle famiglie italiane è “mangiato” dai tassi d’interesse su mutui, prestiti e credito al consumo. La quota delle rate rispetto al reddito disponibile è passata dal 9,5% del 2019 al 10,55% di marzo scorso e, visti i successivi aumenti del costo del denaro, questa percentuale, è destinata salire.

Per le banche, che lucrano sulla differenza tra i tassi praticati alla clientela e gli interessi che pagano ai depositanti, fare profitti in questo contesto è molto semplice. Gli interessi che pagano ai depositanti sono rimasti inchiodati mentre quelli che ricevono sui finanziamenti concessi sono schizzati. Così giovedì scorso Unicredit ha presentato una semestrale record e lo stesso ha fatto venerdì Intesa Sanpaolo ha superato le già rosee aspettativi annunciando utili per 4,2 miliardi, quasi raddoppiati rispetto allo stesso semestre del 2022.

Dal rapporto Fabi emerge anche una differenza significativa tra Nord e Sud del paese quanto a tassi praticati sui mutui. Sono più bassi al Nord, mentre gli interessi sono particolarmente alti nel Mezzogiorno e nelle Isole. Chi risiede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia oltre che in Sardegna e Sicilia paga rate mediamente più alte rispetto a chi abita nel resto d’Italia. Nelle Isole, la media dei tassi d’interesse è del 4,23% e nel Mezzogiorno è al 4,18%, contro il 4,1% del dato nazionale. Le famiglie residenti nelle aree settentrionali godono, invece, di condizioni sui mutui più favorevoli: nel Nord Ovest la media dei tassi è pari al 4,09%; nel Nord Est, invece, i tassi medi sono quelli più bassi d’Italia, cioè 3,99%. “Le differenze territoriali sul costo dei mutui dipendono da alcuni fattori di rischio: – spiega il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni – il Sud e le Isole sono, purtroppo, più indietro economicamente rispetto al Nord. I numeri dei fallimenti di imprese o di difficoltà economica sono numericamente più rilevanti e le famiglie faticano a pagare le rate dei prestiti e dei mutui. Per le banche il fattore rischio quindi è maggiore, anche se in questi ultimi tempi c’è più disponibilità da parte degli istituti di credito e più sensibilità rispetto a prima ai problemi di famiglie e imprese”.

Il rapporto ricorda anche come in Italia le famiglie indebitate siano 6,8 milioni, pari a circa il 25% del totale: di queste, 3 milioni e mezzo hanno un mutuo per l’acquisto di una casa. Nel corso del 2022, i tassi di interesse sui prestiti sono notevolmente aumentati e nuovi incrementi sono scontati con il costo del denaro ulteriormente aumentato al 4,25 per cento. Comprare un’automobile a rate, per esempio un modello da 25mila euro, potrebbe costare, nel caso di un finanziamento decennale a un tasso del 13,65%, oltre 9.800 euro in più rispetto al 2021.

Per quanto riguarda i nuovi mutui, le rate di quelli a tasso fisso sono destinate a raddoppiare nel corso del 2023, mentre per quelli a tasso variabile il “rimborso” mensile dovrebbe salire del 60-70%. Più nel dettaglio, per un mutuo a tasso fisso da 200mila euro di 25 anni (il tasso medio applicato dalle banche potrebbe essere superiore al 6%), la rata mensile sarà di 1.341 euro; per un prestito da 100.000 euro, sempre di 25 anni, col tasso al 5,6%, la rata mensile sarà, invece, di 627 euro. Quanto ai vecchi mutui, invece, nessuna differenza per quelli a tasso fisso, mentre le rate di quelli a tasso variabile hanno subìto aumenti fino al 75%.

Articolo Precedente

Non vedo una guida sicura in Meloni e Lagarde. Ma tra tutti boccerei Calderoli, troppo di parte

next
Articolo Successivo

Centro studi Confindustria: “Economia italiana ferma. Per le imprese si restringe l’accesso al credito”

next