Il Mar Nero, grande poco meno di tre volte l’Adriatico, è un’autostrada d’acqua che collega tre delle aree più calde del mondo: la Russia in attrito col fianco orientale della Nato in Ucraina, la regione balcanico-danubiana dove tanti fuochi ardono ancora oggi sotto la cenere e il Medio Oriente allargato, la cui instabilità non merita troppi commenti. Insomma, prendendo in prestito una battuta di Arlington Stringham, il Mar Nero -come i Balcani – ha sempre prodotto più storia di quanta ne possa consumare localmente: dall’invasione russa dell’Ucraina si è messo addirittura al centro della storia, come non accadeva dai tempi della guerra di Troia. Allora come oggi, le forze dell’Oriente e dell’Occidente si combattono in queste acque. D’altronde, il controllo del Mar Nero è un elemento chiave per la Russia da sempre: l’attacco alla Georgia nel 2008, l’occupazione illegale della Crimea nel 2014 e quella della parte costiera di Zaporizhzhia e Kherson e soprattutto della città marittima di Mariupol nel 2022 sono stati appropriazioni di territorio aventi come obiettivo il miglioramento della situazione geopolitica e strategica del paese proprio nel Mar Nero. Storicamente, per il dominio di queste acque, la Russia si è spesso confrontata con le maggiori potenze europee e con la Turchia. Dalla caduta dell’Urss gli obiettivi del Cremlino in quest’area si possono riassumere in poche parole: tenere il più possibile al sicuro il bastione strategico della Russia in Crimea colpendo e tentando di ridurre all’impotenza i paesi che non fanno parte della Nato e gravitano in questa regione: Moldova, Ucraina e Georgia.

Fino alla vigilia dell’attuale sanguinosissima guerra avremmo potuto sostenere che Mosca intendeva solo esercitare una crescente influenza nel Mediterraneo sviluppando i suoi legami economici e commerciali con i principali mercati europei e rendendo l‘Europa meridionale, a partire da Italia e Turchia, il più dipendente possibile dal petrolio e dal gas russi. In un Mediterraneo che il Cremlino percepiva come in gran parte dominato dalla Nato, non mancavano opportunità politiche, economiche e militari da pescare, come era avvenuto in Siria: Cipro, Egitto, Israele, Turchia ecc. Certo, non significava che il Mar Nero fosse diventato quasi come era stato ai tempi dell’Urss, quando veniva definito un lago sovietico, ma secondo gli esperti la Russia fino all’inizio del 2022 – oltre all’influenza geoeconomica – aveva acquisito un effettivo dominio militare sul cuore del teatro del Mar Nero con la fortificazione della Crimea, il dispiegamento di sistemi missilistici antiaerei e navali a lungo raggio e radar di sorveglianza e acquisizione del bersaglio. Tutto questo senza che Mosca fosse stata capace, va detto, di convertire questo dominio militare in potere politico, limitandosi a coltivare relazioni da “partenariato strategico” con Ankara, membro della Nato ma spesso battitore libero in politica estera.

L’Occidente non aveva reagito al dispiegamento dei sistemi missilistici terra-aria S-400 Triumph e K-300P Bastion-P per la difesa costiera, dall’attivazione di sistemi di sorveglianza a lungo raggio, preallarme e acquisizione del bersaglio, alla collocazione di una divisione dell’aeronautica e due reggimenti dell’aviazione navale, al dispiegamento di sottomarini diesel per proiettare potenza a terra con i missili da crociera a lungo raggio Kalibr. Va detto che, a differenza della regione di Kaliningrad, i russi qui a sud non avevano creato prima della guerra – e men che meno dopo – una struttura di comando integrata le forze aereo-spaziali, la marina ecc. e le funzioni generali di comando erano svolte dal quartier generale del distretto militare meridionale, situato a Rostov sul Don, tradizionalmente dominato dai generali dell’esercito. Addirittura, la principale base navale russa sul Mar Nero, Sebastopoli, amministrativamente non ha mai fatto parte della Crimea. Insomma, negli anni Mosca ha badato a raccattare territori (Transnistria, Crimea, Donbass, Ossezia del Sud) senza creare un’organizzazione appena sufficiente a mantenere il dominio geopolitico.

Questo quadro non è migliorato dall’inizio della guerra e, anzi, si è confrontato con una rinnovata coscienza dei leader occidentali dell’importanza geopolitica e strategica del Mar Nero: ora, c’è un’attenzione crescente a Washington, a Bruxelles e nelle capitali occidentali ma soprattutto si è consolidata la determinazione, una volta messo al sicuro il Baltico con l’allargamento dell’alleanza a Svezia e Finlandia, a collocare il Mar Nero al centro della strategia della Nato.

Non dovrà essere più la Russia a dettare le regole della regione, né gli alleati – come la Turchia – saranno più lasciati soli davanti al gigante euroasiatico: il Mar Nero merita una propria strategia globale per garantire che il Cremlino non lo consideri più il suo orticello esclusivo.

La senatrice democratica Jeanne Shaheen e il senatore repubblicano Mitt Romney hanno sollecitato in modo bipartisan il presidente americano Biden a elaborare una strategia per il Mar Nero e spingere per una maggiore presenza militare e impegno economico degli Stati Uniti nella regione. Mara Karlin, assistente segretario alla difesa Usa, ha sostenuto che “la regione del Mar Nero è un’area di fondamentale importanza geostrategica ed è un nodo chiave per le infrastrutture di transito e le risorse energetiche… Continueremo a incoraggiare una più profonda cooperazione tra alleati e partner del Mar Nero per scoraggiare e difenderci dall’aggressione in corso della Russia in Ucraina e nella più ampia regione del Mar Nero.. Questa cooperazione include ulteriori sforzi per aumentare la condivisione delle informazioni per costruire una consapevolezza comune nel settore marittimo e oltre”. Ciò significa che nella regione del Mar Nero “gli Stati Uniti continueranno a lavorare con gli alleati della NATO per far avanzare la modernizzazione militare per affrontare la minaccia militare della Russia, anche attraverso una migliore postura ed esercitazioni per migliorare la sicurezza e la prosperità della regione”.

Non è un caso che, a differenza di quanto certi politici e commentatori superficiali spesso sostengono, l’Ucraina punti sul serio alla liberazione della Crimea: non solo perché è sua di diritto e -data la sua configurazione con poche vie d’accesso e risorse scarse- non è così facile da tenere per i russi, ma anche perché a Kiev hanno ben chiaro che la sconfitta della Russia potrà passare solo dalla perdita dei porti del Mar Nero e del Mare di Azov in territorio ucraino e dal suo ridimensionamento geopolitico e militare proprio nel Mar Nero.

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