Sui media è passato relativamente sotto silenzio il vertice del 17 e 18 luglio a Bruxelles fra Ue e Celac (Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi) – 33 leader dell’America Latina in rappresentanza di circa 650 milioni di abitanti. Il solo gigante brasiliano è abitato da poco meno di 220 milioni di persone.
Il vertice è stato tormentato da visioni inizialmente molto distanti, comprese quelle relative al conflitto in Ucraina, a cominciare dal rifiuto dei Paesi Celac della proposta di farvi partecipare anche Zelensky; il forum si è concluso, dopo un negoziato complesso e minuzioso, con l’approvazione – ad eccezione del Nicaragua – di un documento congiunto che contiene punti di notevole rilevanza.

Sulla guerra non è passata la proposta di esprimere la condanna dell’invasione, ma si è convenuto sulla “profonda preoccupazione per la guerra in corso contro l’Ucraina” senza mai citare la Russia, e si sono sostenuti “tutti gli sforzi diplomatici per realizzare una pace giusta e duratura”, laddove l’iniziativa diplomatica – salvo i tentativi di Macron – è stata (ed è) la grande assente della politica dell’Ue. Si tratta perciò di una novità, peraltro in contrasto col generale appiattimento dell’Ue sulle nuove scelte della Nato, come ribadito nel corso del vertice di Vilnius, dove pure si era distinta la Slovenia. Il suo Primo Ministro aveva infatti affermato che il suo Paese “potrebbe contribuire più agli sforzi per la pace in Ucraina che agli impegni di sicurezza del G7”. Questa posizione non è marginale perché dal 1° gennaio 2024 la Slovenia entra nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu come membro non permanente.
Ma il documento Ue-Celac rivela altre sorprese: nel capitolo ove si sostiene l’universalità dei diritti umani si garantisce “l’eliminazione dei doppi standard”, e cioè la difesa di tali diritti in alcune situazioni geopolitiche e non in altre, in base a interessi nazionali o di alleanza.

Non basta: l’intero punto 10 è dedicato alla critica allo schiavismo, rompendo un tabù dei Paesi già colonizzatori: “Riconosciamo profondamente e ci rammarichiamo per le indicibili sofferenze inflitte a milioni di uomini, donne e bambini a causa della tratta transatlantica degli schiavi”. Nel documento si chiede poi la revoca del pluridecennale embargo contro Cuba, rifiutando la definizione dello Stato caraibico come “sponsor del terrorismo”. Si ribadisce “che il diritto all’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari ha evidenziato il carattere centrale dell’acqua rispetto alla vita stessa”. Si sottolinea più volte l’importanza della “diplomazia parlamentare” e del multilateralismo.

Si è trattato di un incontro di speciale importanza, anche perché ha rappresentato una sorta di faccia a faccia fra ex colonizzati ed ex colonizzatori, come specificato nel documento, in ragione di una ferita che non si è mai del tutto rimarginata. Dal punto di vista dell’Ue l’obiettivo era quello di poter accedere ad alcune materie prime, a cominciare dal litio, elemento essenziale per le batterie dei veicoli elettrici, e che è presente in grande quantità in Argentina e specialmente il Cile (ma anche – sic! – in Ucraina, in particolare nella zona del Donbass).

L’affanno dell’Ue alla ricerca del litio e di altre terre rare è aumentato da quando – all’inizio di luglio – la Cina, come presumibile risposta agli attacchi sempre più violenti dell’occidente, ha posto sotto controllo governativo le esportazioni di alcune terre rare fondamentali per le moderne tecnologie come i derivati del Gallio e del Germanio.

È presumibilmente la prima volta dall’inizio del conflitto che un documento sottoscritto dall’Ue non trasuda bellicismo, non impone sanzioni, non promette forniture militari. Il che non vuol dire, ovviamente, che l’Unione sia stata fulminata sulla via di Damasco ed abbia cambiato orientamento, ma vuol dire che deve cominciare a fare i conti con una comunità internazionale che, pur generalmente criticando l’invasione russa, ha da tempo preso le distanze dal furore militarista della Nato e della stessa Ue. Questo vale per l’America Latina e per la grandissima maggioranza dei Paesi africani ed asiatici, vale a dire – più o meno – per tre quarti dell’umanità. Assieme, l’Unione inizia a prendere atto delle estreme difficoltà del reperimento di alcune materie prime a causa della sua politica e fa – nel caso del documento con Celac – di necessità virtù.

Tutto ciò mette rumorosamente a tema l’esistenza di un mondo già ora multicentrico, dove, per esempio, non si può ignorare il peso di Paesi come il Brasile, e rende manifesta l’obsolescenza della struttura attuale del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ove siedono permanentemente i rappresentanti dei soli Stati vincitori della Seconda guerra mondiale.

Poco, ma meglio di niente: il vertice di Bruxelles ha rappresentato un passo piccolo verso un cambiamento di posizione rispetto alla guerra in corso, verso un negoziato, e, assieme, una sconfitta dei Paesi più oltranzisti dell’Unione: la Polonia e le repubbliche baltiche. E forse anche dell’Italia, vista la presenza temporanea e marginale a Bruxelles di Giorgia Meloni. L’ininterrotto salasso di sangue in Ucraina e il rischio di un isolamento politico in cui si trova l’Ue, schiacciata fra Usa e Russia, ancora di più fra Usa e Cina, e con la Germania, già locomotiva dell’Europa, ferma in stazione, ci obbligano ogni giorno di più a lavorare per alternative di pace e di dialogo.

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