di Federica Pistono*

Il macro-genere della crime fiction – variamente definito nei termini di romanzo poliziesco, noir, thriller e giallo – nella letteratura araba talvolta è stato, e spesso è tuttora, un pretesto per formulare una denuncia sociale, per focalizzare l’attenzione del lettore, al di là dello schermo costituito da una vicenda imperniata su un delitto o su una catena di omicidi, su questioni di carattere sociale, quali la corruzione, i soprusi subiti dai poveri da parte di un sistema politico iniquo, la burocrazia che svilisce e ridicolizza i drammi umani, la distanza incolmabile tra popolo e istituzioni. Esemplare, in questo senso, era stato il romanzo Diario di un procuratore di campagna dello scrittore egiziano Tawfiq al-Hakim (Nottetempo, 2005, traduzione di S. Pagani).

Pur ambientato in un’epoca storica diversa e collocato in un contesto urbano, anche il romanzo Il macellaio di Casablanca, dello scrittore marocchino Abdelilah Hamdouchi (MR Editori, 2023, traduzione di B. Benini), si presta a essere letto come un’opera di critica sociale, dal momento che presenta al lettore un affresco del Marocco contemporaneo ben lontano dalle immagini patinate delle riviste turistiche.

Se l’opera egiziana descriveva nel dettaglio le condizioni della società rurale e approfondiva il tema dell’inefficienza della polizia, quella marocchina si sofferma sulle problematiche della città di Casablanca, in cui si svolge la storia: la speculazione edilizia, l’emigrazione dalla campagna alla città, la superstizione, la disoccupazione – che spinge molte ragazze verso la prostituzione -, lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina – che porta i lavoratori del porto ad aiutare i migranti a imbarcarsi per Gibilterra in cambio di qualche migliaio di dirham. Un focus particolare è dedicato al modus operandi della polizia che, dagli Anni di Piombo del Marocco, ha ricevuto in eredità metodologie poco ortodosse nella conduzione delle indagini.

L’opera può definirsi un “noir mediterraneo”, espressione impiegata per indicare opere letterarie a sfondo poliziesco, ambientate nei paesi affacciati sul Mediterraneo e scritte da autori provenienti da quegli stessi luoghi. Fra le caratteristiche principali di questi testi figurano l’umorismo pungente e talvolta grottesco, i frequenti riferimenti al mondo familiare e domestico dei personaggi, il racconto, portato avanti in modo spesso ironico, del mutamento sociale e dei conflitti generati dal cambiamento.

Quello che Hamdouchi ci presenta è, dunque, un paese attraversato da forti tensioni sociali e costretto ad affrontare un malessere collettivo troppo spesso avvertito come insopportabile. Anche il lettore scarsamente interessato alle tematiche politico-sociali potrà comunque trovare godibile la lettura del romanzo, che ruota intorno a un susseguirsi di raccapriccianti omicidi destinati a scuotere la città di Casablanca. Un killer misterioso uccide e smembra le sue vittime, per poi nasconderne l’identità occultando le teste e le mani dei cadaveri, abbandonati all’interno dei cassonetti, in alcuni quartieri della città. Con il diffondersi delle notizie sui delitti, la stampa crea il mito del “macellaio di Casablanca” che terrorizza la popolazione e tiene in scacco il miglior investigatore in città, il detective Hanash. Durante la Festa del Sacrificio, vengono però rinvenuti due scatoloni contenenti i resti di un cadavere proprio di fronte al quartier generale della polizia. Si tratta di una sfida o di un passo falso dell’assassino? Riuscirà Hanash a venire a capo dell’intricata e sanguinosa matassa?

La trama, molto avvincente, appare congegnata alla perfezione. La psicologia dei personaggi risulta approfondita, a partire da quella dal protagonista, Hanash, abituato a essere elogiato, quasi un eroe della stampa marocchina per la sua abilità nel risolvere i casi in poco tempo, fino ai membri della sua famiglia, come il figlio Tareq, deciso a seguire le orme del padre, la moglie Naima, abituata a intrufolarsi nelle indagini del marito, e la figlia Manar, innamorata del braccio destro di Hanash, Hamid. E poi c’è il Macellaio, presentato come epitome dei mali che affliggono la gioventù marocchina, riassumibili nell’impossibilità di ritagliarsi una vita decente in una società troppo corrotta. La frustrazione produce, in una personalità fragile, la deriva della violenza estrema.

Un noir decisamente insolito e intrigante, in cui critica politico-sociale, scene di vita quotidiana, analisi psicologica penetrante si fondono nell’indagine intensa, incalzante e spietata sull’inferno umano.

* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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