di Roberto Iannuzzi *

In cosa è consistito esattamente l’effimero atto di forza compiuto dal leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin? Dal tentato golpe alla messinscena, infinite teorie sono state formulate su un evento che ancora presenta interrogativi e punti oscuri. Ma, se le ripercussioni di questo episodio non sono ancora del tutto chiare, è ormai abbastanza evidente che si è trattato di un conflitto all’interno dell’apparato militare russo, uno scontro di potere che non aveva come obiettivo il rovesciamento del presidente Putin, ma è stato piuttosto un tentativo di forzarne la mano.

All’origine della crisi vi è la figura eccentrica ed imprevedibile di Prigozhin, l’eccessivo potere acquisito dalla sua compagnia militare, e la sua crescente rivalità con il ministero della difesa, ed in particolare con il suo massimo dirigente, Sergei Shoigu, e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov.

A complicare la questione, con la possibilità di renderla qualcosa di più di un episodio estemporaneo per quanto increscioso, vi sono i malumori e le tensioni che serpeggiano fra le varie componenti delle forze armate russe sulla gestione del conflitto ucraino.

La nascita del gruppo Wagner presenta lati misteriosi come il resto di questa storia. Nel creare le proprie compagnie militari private (CMP), i russi si ispirarono a quelle occidentali, viste come strumenti utili a dissimulare il ruolo degli stati di appartenenza in situazioni difficili e ambienti ostili. L’esempio classico è quello della famigerata Blackwater, che operò nell’Iraq occupato dagli americani.

Il gruppo Wagner si consolidò fra il 2014 e il 2015, quando mercenari russi andarono a combattere dapprima nella guerra civile divampata in Donbass, nell’Ucraina orientale, e poi in Siria. Il ricorso a queste formazioni consentiva a Mosca di porre un diaframma tra sé e focolai di conflitto particolarmente pericolosi a livello internazionale, e di tranquillizzare l’opinione pubblica in patria riguardo al livello di coinvolgimento russo in tali conflitti. La peculiarità del gruppo Wagner è che, più che una CMP, esso rappresenta una vera e propria partnership fra pubblico e privato, essendo letteralmente una costola dell’esercito russo. A livello militare, esso fu organizzato da Dmitry Utkin, veterano delle forze speciali del GRU (l’intelligence militare russa).

Prigozhin, imprenditore nel catering e in altri settori, che si era già aggiudicato numerosi appalti pubblici, sarebbe stato contattato, secondo alcune fonti, proprio dallo stato maggiore russo per divenire patrono del gruppo. In cambio dei suoi investimenti nel gruppo, egli ottenne lucrosi contratti per fornire servizi alle forze armate. In conseguenza del suo carattere istrionico, Prigozhin è divenuto il volto pubblico di un’organizzazione in realtà abbondantemente supportata dallo Stato, fra l’altro non possedendo alcuna formazione militare.

A seguito delle crescenti tensioni emerse fra Prigozhin e il ministero della Difesa nella recente battaglia di Bakhmut in Ucraina, quest’ultimo, resosi conto della potenziale pericolosità di una compagnia militare pesantemente armata e con una propria catena di comando indipendente, aveva deciso di correre ai ripari.

Con un decreto aveva ingiunto che i membri di tutte le CMP dovessero firmare contratti direttamente con il ministero, di fatto sancendo l’integrazione di queste compagnie nell’esercito. Di fronte alla prospettiva di perdere uno dei suoi affari più lucrosi, Prigozhin ha tentato il tutto per tutto con un colpo di mano finalizzato a chiedere le dimissioni di Shoigu e Gerasimov. Il leader del gruppo Wagner, che ha connessioni importanti fra i ranghi dell’esercito, aveva evidentemente confidato nell’appoggio di alcuni ambienti militari nei quali serpeggia un latente malcontento nei confronti del ministro della Difesa, un non militare da taluni considerato inadatto a svolgere il proprio ruolo.

L’azione scomposta di Prigozhin, tuttavia, tradottasi in una specie di diktat al presidente Putin e in una sfida nei suoi confronti, e la reazione di quest’ultimo che ha definito il colpo di mano del gruppo Wagner un “tradimento”, hanno spinto la maggior parte dei militari, dei politici e dei governatori a prenderne le distanze. Ritrovatosi solo, Prigozhin è stato costretto a trattare la resa, ma la facilità con cui ha preso il controllo del distretto militare meridionale, e dell’intera città di Rostov, ha destato in alcuni il sospetto che qualche connivenza ci sia stata.

Il leader del gruppo Wagner ha perso la sua scommessa ed è stato costretto all’esilio in Bielorussia. Ma i sospetti di collaborazionismo che il suo colpo di mano ha suscitato nei confronti di alcuni esponenti dell’esercito potrebbero avere strascichi da non sottovalutare in una fase delicatissima della storia russa, in cui Mosca sta combattendo una pericolosa guerra per procura contro l’intero schieramento della Nato.

Molti si sono chiesti se Prigozhin abbia avuto contatti con servizi segreti stranieri prima di avviare la sua azione. Non è da escludere ma, come abbiamo visto, l’accaduto sembra essere conseguenza essenzialmente di dinamiche interne. Quel che però è certo è che gli Usa ed altri paesi occidentali cercheranno di sfruttare le fratture che questa crisi ha aperto per indebolire Mosca, se il Cremlino non saprà adottare tempestivamente le necessarie contromisure.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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