A destra discutono se sia il caso di rompere in Europa l’alleanza che ruota attorno all’asse Popolari-Socialisti, per puntare a una maggioranza di governo di destra sull’asse Popolari-conservatori in contrapposizione alla sinistra. A sinistra, ancora si discute poco, forse pronti a giocare di rimessa, nella speranza di sfruttare lo spauracchio Le Pen e altri. Vista come è finita in Italia con l’ipotetico spauracchio Meloni, potrebbe non essere la strategia vincente.

Per cercare una strada diversa, proviamo a partire dal paradosso del nazionalismo “paneuropeo”: in Europa i nazionalisti sono uniti nel difendere l’interesse nazionale, anche quando l’interesse nazionale li porta gli uni contro gli altri. Ultima prova ne è stata lo scontro sull’immigrazione: interesse italiano sarebbe ripartire il carico dei migranti, interesse polacco e ungherese no, dunque Meloni si è privatamente un pochino scontrata contro il veto di Morawiecki e Orbàn, ma non si è poi davvero scontrata perché pubblicamente sono rimasti amici per la pelle, in nome del reciproco “interesse nazionale”.

Gli “europeisti” invece (termine la cui genericità è già sospetta) stanno in mezzo al guado, provano a evocare l’interesse comune europeo contro i nazionalismi, ma raramente sono capaci di unirsi veramente a difenderlo, né con riforme che cedano sovranità a un’Unione europea più democratica, né nel merito di molte politiche.

Il risultato è che il nazionalismo funziona bene elettoralmente, a livello nazionale, per poi accettare compromessi europei scaricando la colpa su Bruxelles per le concessioni subite. L’europeismo invece è già in partenza individuato come sinonimo di compromesso ambiguo e burocratico, il che rappresenta un handicap elettorale che a sua volta li rende deboli e collocati in ordine sparso a livello europeo, innescando così un circolo vizioso, senza nemmeno potersela prendere troppo con Bruxelles.

Verrebbe dunque da pensare che un’ipotetica strategia di destra europea che punti a governare la Ue nel nome dell’interesse nazionale diventi una buona occasione per fare chiarezza e rivendicare l’interesse comune europeo, non per inseguire un’identità contro (contro Le Pen, Meloni, Salvini, Orbàn…) ma per contrapporre una proposta alternativa meno ambigua “per” qualcosa di meno generico del minestrone europeista.

Rispettando la complessità delle singole situazioni nazionali, non mi pare impossibile esplicitare la volontà di costruire una nuova maggioranza basata sull’asse socialisti, liberali (anche se alcuni di loro non potranno starci), Verdi, più altre componenti minori federaliste e civiche dove ne esistono (Volt, pirati… in Italia probabilmente anche il M5S, se nel frattempo l’aggressione russa contro l’Ucraina sarà stata battuta).

Per farlo mi parrebbe necessario, in termini di programma comune (e senza pretesa di esaustività):
– un metodo alternativo, anche “dal basso”: non solo programmi di partito nazionali e europei, ma l’attivazione di strumenti di iniziativa popolare europea su obiettivi concreti, non necessariamente condivisi in blocco da tutti i partiti nazionali;
– la sostituzione dell’europeismo con il federalismo europeo, eventualmente con una cooperazione più stretta tra gli Stati che lo vorranno, partendo dal mattone fondamentale della singola persona umana e dei suoi diritti civili, politici e umani fondamentali, da far valere anche contro i Governi nazionali se necessario, includendo tra questi diritti anche l’aborto e il fine vita e la possibilità di abbandonare il proibizionismo sulle droghe.
– la transizione fiscale al servizio della transizione ecologica: fissare un percorso di uscita dalle fonti fossili senza che ciò implichi un bagno di sangue per il ceto medio e povero, spostando dunque le tasse dai redditi medio bassi al consumo delle risorse ambientali e alle emissioni;
– la democrazia come investimento prioritario, politico ed economico, ponendo la rivoluzione dell’intelligenza artificiale al servizio della partecipazione democratica, da innovare anche attraverso le assemblee civiche estratte a sorte e i referendum europei;
– la pace, da costruire nel lungo periodo, non con il pacifismo della resa ai dittatori, ma con l’investimento nei metodi nonviolenti e nel disarmo non unilaterale, basato anche su una difesa comune europea.

In ogni Paese la campagna elettorale diventa poi nazionale intorno a uno o due temi.
Gli eventi di questi mesi dicono che tra le destre europee una base comune si stia già trovando, oltre che nell’abbaiare contro le persone migranti, nell’abbandonare ogni pur timida strategia di contrasto all’emergenza del cambiamento climatico. La stessa Ursula von der Leyen rischia di essere sacrificata sull’altare della nuova strategia perché troppo sensibile al tema, come si è visto ora sul voto al Parlamento euuropeo sul Nature Restoration.

Sono segnali che vanno colti proprio per puntare sulla strategia alternativa, giocando d’attacco con un piano credibile per realizzare la transizione ecologica facendosi carico delle disuguaglianze sociali, utilizzando l’economia di mercato, ma ponendo un argine forte alle derive del capitalismo oligopolistico senza cedere all’illusione statalista.

Il metodo a grandi linee qui tratteggiato è quello che stiamo perseguendo con la faticosa opera di costruzione del movimento paneuropeo di iniziativa popolare, Eumans. Chi è interessato, mi scriva!

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