Oggi era una di quelle giornate da bollino rosso al Parlamento Europeo, e non per i 36 gradi che ieri si sono raggiunti qui a Strasburgo, ma per via di una votazione delicata, in bilico, decisa per soli 12 voti, che in qualche modo segna – almeno per ora – la direzione in cui vuole andare il vecchio Continente. Dopo mesi di negoziazioni e polemiche, il voto di oggi sulla Nature Restoration Law, la legge sul ripristino della natura, ha assunto una valenza politica particolare.

Cosa dice la Legge sul ripristino della natura?

Andiamo con ordine. La legge sul ripristino della natura è una proposta della Commissione europea che si pone come obiettivo quello di promuovere il ripristino e l’uso sostenibile delle risorse naturali per proteggere l’ecosistema. Ciò si realizza fissando chiare tabelle di marcia per la sua attuazione e fornendo il supporto necessario alle comunità per garantire una transizione giusta.

La legge prevede – come obiettivi vincolanti per gli Stati membri – il ripristino del 20% delle aree terrestri e marine in modo da fermare la perdita di biodiversità entro il 2030 in primo luogo, e poi – successivamente – l’estensione dello stesso concetto di ripristino di tutti gli ecosistemi che ne hanno necessità entro il 2050.

La finalità della legge è quella di garantire sicurezza alimentare, resilienza climatica, salute e benessere per popolazione, fauna e flora. Fra i passaggi più importanti della Nature Restoration Law c’è anche la volontà di ridurre pesticidi chimici del 50% entro il 2030, cosa che ha fatto storcere al naso a lobbies molto ben organizzate, poi l’aumento delle aree protette, gli sforzi per salvare gli impollinatori, ma anche l’idea di garantire nessuna perdita di spazi verdi urbani entro il 2030 e di programmare un aumento degli stessi spazi, di almeno il 5%, entro il 2050.

Durante questi concitati mesi di negoziazioni e polemiche, un altissimo numero di scienziati, imprese e cittadini hanno concordato con la proposta della Commissione Europea e con la posizione di 20 su 27 Stati membri nel ritenere che salvaguardare la natura sia fondamentale per mitigare e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, garantire la biodiversità ed assicurare la sicurezza alimentare a lungo termine.

Ma oggi con questo voto non c’era in gioco solo la natura, ma anche qualcos’altro.

Sulla posizione da assumere rispetto a questa proposta si è accesa infatti una battaglia interna al Partito Popolare Europeo (PPE) – che è il partito di maggioranza relativa in Ue ed esprime sia il Presidente della Commissione Ue Von der Leyen che il Presidente dell’europarlamento Roberta Metsola – tra chi era favorevole ad una prospettiva conservatrice, con occhio alle elezioni dell’anno prossimo, che abbracci i conservatori di ECR (Il partito europeo di Fratelli d’Italia e quindi del Premier Meloni) non disdegnando neanche l’estrema destra di ID (partito dove tra gli altri siede la Lega, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Alternative fur Deutschland) e chi invece continua a preferiva una visione più moderata, europeista e centrista vicina a quella che fu definita maggioranza Ursula, ossia la grande coalizione con Socialdemocratici e Liberali che ha dato vita all’attuale Commissione Europea e fino ad oggi ha sostenuto il suo programma.

La posizione del PPE oggi ha assunto quindi un ruolo molto interessante anche in termini di prospettiva, visto che con l’estrema destra governano già in Paesi importanti come l’Italia e le elezioni nazionali alle porte in Stati membri come Spagna, Olanda e Polonia potrebbero indirizzare il PPE nella stessa direzione imboccata in Italia, ossia sempre più a destra. Tutti eventi intermedi verso la grande tappa del voto della prossima primavera per rinnovare le istituzioni europee. Così il Presidente del PPE Manfred Weber ha deciso di forzare la mano, di sfidare la sua compagna di partito Ursula Von der Leyen e la sua maggioranza e tastare il polso della situazione con il voto di oggi, per preparare il terreno per domani. Missione fallita.

D’altronde quella tra Weber e Von der Leyen, entrambi tedeschi della CDU, cresciuti all’ombra di Angela Merkel, sembra una contesa interna risalente e irrisolta, fin da quando nelle passate elezioni a Weber – che era lo Spitzenkandidaten designato dal PPE, fu messo da parte per far posto alla presidenza della Commissione la sua collega Ursula. Se l’intenzione di Weber era quella di dare una spallata alla Von der Leyen con questo voto, prendendosi una rivincita per i fatti del 2019 e lanciando un segnale in vista del gran galà di nomination che sta per arrivare, il risultato per lui è stato tragico, essendosi con questa mossa indebolito lui e rafforzata lei.

Il PPE è andato sotto e la proposta di legge sulla restaurazione della natura è passata, per poco ma in modo significativo, come a dire che nonostante la politica giochi, in modo poco serio, a sostenere le non-ragioni di negazionisti del cambiamento climatico, oscurantisti e nemici dichiarati dell’umanità (o perlomeno del futuro dell’umanità in questo Pianeta), il buon senso ha avuto ragione. Per poco e in modo non assoluto (alcuni emendamenti indeboliscono il testo), ma ha avuto ragione. Il timore è che questa ragione possa andare perduta, nei numeri, dopo le elezioni del 2024, e a pagarne le conseguenze saremmo tutti, soprattutto le nuove e future generazioni.

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