L’Europarlamento al bivio: o dentro o fuori. Nel giorno in cui si vota a favore o contro la legge per il Ripristino della Natura, si decidono contemporaneamente un sacco di altre cose. Per esempio, se dare un calcio all’intera architettura del Green Deal, già provata dopo il recente voto degli eurodeputati, che ha escluso gli allevamenti intensivi di bovini dalla direttiva sulle emissioni inquinanti, se assestare un colpo non da poco alla Commissione Ue di Ursula von der Leyen e al pacchetto Fit for 55, se la possibile alleanza tra destre e Ppe, fin qui solo una ipotesi, è già una realtà che condizionerà norme e vite in tutta l’Unione europea. E in tal caso, anche l’Italia avrà fornito il suo contributo. Forse troppo per una sola giornata, ma tant’è. Potrebbe non esserci un’altra occasione per dire sì alla prima legge europea che prevede obiettivi vincolanti per restaurare gli ecosistemi danneggiati. Trattandosi, infatti, di un regolamento diventerà automaticamente applicabile in tutta l’Ue appena entrato in vigore, al contrario di ciò che avviene con le direttive. Gli Stati dovranno dimostrare di fare la loro parte per proteggere almeno il 20% delle aree terrestri e marine degradate dell’Ue entro il 2030, per poi estendere le misure di ripristino a tutti gli ecosistemi che lo necessitano entro il 2050. Di certo, come hanno spiegato il vicepresidente della Commissione Ue con delega al clima, Frans Timmermans e il commissario europeo per l’Ambiente Virginijus Sinkevicius “se la legge venisse bocciata a Strasburgo, da parte della Commissione europea non arriverà una nuova proposta. Non c’è tempo”.

Un voto cruciale – In plenaria ci sarà prima il voto su una risoluzione di rigetto della legge. Se questa venisse votata dalla maggioranza semplice, allora spetterebbe al Consiglio Ue decidere se portare avanti il testo in una seconda lettura. Qui, se la legge venisse bocciata, l’iter si concluderebbe. E che il momento sia cruciale, lo testimonia la presenza l’attivista ambientalista Greta Thunberg. “Fino ad oggi i politici hanno dimostrato di aver sempre tradito la nostra fiducia. Hanno avuto molte opportunità di dare valore alle loro azioni ma hanno fallito tutte le volte, oggi speriamo che di dimostrino il contrario”, ha detto ieri, dal presidio in sostegno alla legge organizzato da Socialisti, Verdi e Sinistre davanti al Parlamento europeo. Il giorno prima della votazione, nel suo ultimo appello di fronte a un’aula semi deserta, Sinkevičius ha ribadito: “La legge sulla natura è il Green Deal”. Ergo: la Commissione Ue garantirà una certa flessibilità, la stessa con cui agli inizi di giugno ha trasmesso ai Paesi e agli europarlamentari un documento informale, spingendo il Consiglio Ue ad adottare la sua posizione.

L’iter tra mille ostacoli – All’approvazione si è arrivati nonostante il voto contrario di Italia, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Austria e Svezia (a favore 21 Paesi). Ed in queste ore è anche a quel testo di mediazione che si guarda, perché prevede una maggiore flessibilità per gli Stati membri nell’attuazione del regolamento, riducendo anche gli oneri amministrativi. Un testo che, però, rischia di incidere poco sugli obiettivi climatici, concedendo una serie di scappatoie. La mediazione, però, potrebbe essere l’unica strada per superare la paralisi che ha già bloccato i lavori nelle Commissioni dell’Europarlamento. A infierire il Partito popolare europeo, il gruppo più numeroso con i suoi 177 seggi, teatro di uno scontro tutto tedesco tra la presidente della Commissione Ue e il capogruppo e presidente del Ppe Manfred Weber, secondo cui la legge è una minaccia per agricoltori e sicurezza alimentare. Uno scontro che ha rallentato l’iter anche grazie all’alleanza con la destra radicale di Ecr (Conservatori e Riformisti, di cui fa parte anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni) e Id (Identità e democrazia). Il 15 giugno scorso il primo voto, vincolante, nella Commissione Ambiente (Envi). Sul tavolo, paradosso, un emendamento proposto dal Ppe della Von Der Leyen che proponeva di bocciare integralmente la misura simbolo della presidente della Commissione: è finita in un pareggio (44 a 44), tutto rinviato al 27 giugno, con centinaia di emendamenti presentati. Al secondo ‘test’, la Commissione Ambiente ha confermato la sua divisione e non poteva che finire così. Nel frattempo, ci sono state le bocciature in Commissione Agricoltura e sviluppo rurale (Agri) e in Commissione Pesca (Pech).

Il ruolo del Partito popolare europeo, che guarda a destra (e alle lobby) – Certo, nessuna delle due ha competenza legislativa sul dossier, ma sono state due prove di forza per il Partito popolare europeo, che non solo si è messo di traverso, ma è proprio uscito dai negoziati, come ha fatto notare Timmermans, in una recente intervista a Repubblica, spiegando che qualcosa è cambiato dopo le ultime elezioni in Finlandia e in Italia. Insomma, il Ppe avrebbe smesso di trattare “da quando la destra italiana è al governo”, inferendo un colpo alla stessa Ursula von der Leyen. E ancora: “Il Ppe pensa che per il futuro europeo si deve alleare con la destra più radicale, ma la destra non è in grado di costruire l’Europa”. E che la battaglia si preannunci dura lo dimostra anche ciò che accade al di fuori della plenaria: ieri, a manifestare, da un lato c’erano gli ambientalisti, in attesa dell’arrivo di Thunberg e, dall’altro, gli agricoltori guidati dalla Copa-Cogeca, l’associazione che riunisce le cooperative europee e alla cui protesta si è unito a sorpresa proprio Manfred Weber. Ma se l’obiettivo di una parte dei Popolari europei è sempre stato quello di bocciare la legge tout court, i liberali di Renew (la maggior parte dei quali ancora a favore della legge) hanno cercato fino all’ultimo una mediazione. Anche Ursula von der Leyen, data la posta in gioco, non si è tirata indietro. Più ambiziosi gli emendamenti presentati da Verdi, sinistra e socialisti.

In cosa consiste la legge – Tra gli obiettivi della Nature Restoration Law, quello di proteggere prioritariamente torbiere, zone umide, praterie marine, ecosistemi con il maggior potenziale di rimozione e stoccaggio del carbonio. Si chiede, ad esempio, di ripristinare entro il 2030 il 30% delle torbiere prosciugate a uso agricolo, per arrivare al 70% entro il 2050. Si punta a invertire il calo delle popolazioni di impollinatori, in primis le api, entro il 2030. Ogni città o Paese dovrà poter contare su almeno il 10% di copertura arborea entro 2050, mentre per i fiumi è previsto l’obiettivo di raggiungere i 25mila chilometri a libero scorrimento entro il 2030, rimuovendo ostacoli come dighe e altre barriere. Tra gli elementi più contestati la realizzazione di elementi paesaggistici ad alta biodiversità su almeno il 10% della superficie agricola utilizzata. Come ha spiegato in plenaria il commissario all’Ambiente Virginijus Sinkevičius “non significa mettere il 10% dei terreni agricoli fuori dalla produzione”, oltre al fatto che “sono gli Stati membri che definiscono qual è il livello che soddisfa quella percentuale nei loro piani nazionali di ripristino della natura e quel livello può essere ben al di sotto del 10%”. Il Consiglio ha introdotto maggiore flessibilità, anche sugli obiettivi specifici, dagli ecosistemi urbani alla riumidificazione delle torbiere, prevedendo la possibilità che gli Stati membri tengano conto di “circostanze nazionali specifiche” nei loro piani.

Tra posizioni inconciliabili e appelli – “L’obiettivo di coprire parti importanti della superficie agricola, abbandonare interi territori e corsi d’acqua, aggirare i trattati per accentrare arbitrariamente a Bruxelles la competenza della gestione del territorio, sono elementi che destano preoccupazione per l’Italia” è la posizione della Lega, secondo cui “le scadenze e le percentuali per il ripristino degli ecosistemi sono irrealistiche e irrealizzabili”. Di fatto, oltre 6mila scienziati hanno sottoscritto un documento nel quale dimostrano l’infondatezza delle critiche alla base dell’opposizione portata avanti dalle lobby legate all’agrindustria e alla produzione di pesticidi. A favore della Nature Restoration Law si sono schierate, attraverso due diversi appelli, più di 90 tra le più grandi aziende europee, tra cui Nestlé, Unilever, Danone e Ikea, chiedendo “l’urgente adozione di una legge europea sul ripristino della natura che sia ambiziosa e vincolante”. Oggi sembra davvero un’impresa (quasi) impossibile.

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