Israele prova a spingere nelle mani di Hamas le sorti della popolazione della Striscia di Gaza ammassata a Rafah, ma poi ci pensa il primo ministro, Benjamin Netanyahu, a irrompere nel dibattito e rischiare di sabotare una possibile intesa per una tregua. Fonti diplomatiche dello ‘Stato ebraico’ hanno fatto sapere che la delegazione israeliana non si presenterà al Cairo fino a quando Hamas non avrà fornito una risposta all’offerta avanzata nelle scorse ore di una tregua lunga 40 giorni e il rilascio di migliaia di prigionieri palestinesi dalle carceri di Tel Aviv in cambio della liberazione degli ultimi 33 ostaggi considerati ancora in vita. Un’offerta che, però, è a tempo limitato: “Aspetteremo le risposte mercoledì sera e poi decideremo”. Più netta la ricostruzione della radio militare israeliana: “Verrà dato l’ordine di lanciare un’operazione a Rafah” se non verranno fatti progressi “entro giorni” sui negoziati, dicono. Sarà difficile, però, che il partito armato palestinese possa accettare la proposta dopo le dichiarazioni uscite poche ore dopo dalla bocca del premier israeliano: “L’idea di porre fine alla guerra prima di raggiungere tutti i nostri obiettivi è inaccettabile. Noi entreremo a Rafah e annienteremo tutti i battaglioni di Hamas presenti lì, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale“. Intanto è stata annullata la riunione del gabinetto di guerra israeliano che avrebbe dovuto tenersi in queste ore.

Vista la situazione, le contrattazioni al momento devono essere considerate concluse. A poco potrebbe servire, quindi, l’arrivo del segretario di Stato americano, Antony Blinken, nel Paese nella giornata di martedì 30 aprile. Per il partito armato palestinese, adesso, è un ‘prendere o lasciare‘, consapevole però che, in caso di ok, si tratterà esclusivamente di una piccola boccata di ossigeno. Fonti diplomatiche francesi in mattinata hanno detto che nei negoziati si è almeno trovato un punto d’incontro tra le parti sul numero di ostaggi rilasciati in cambio dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, ma che permangono ostacoli sulla natura a lungo termine della tregua. “Non siamo lontani da un accordo, ma non è la prima volta”, ha aggiunto la fonte.

“NENANCHE L’AJA CI FERMERÀ” – Netanyahu, in un video rilanciato dal Times of Israel, assicura anche che “nessuna decisione, né all’Aja o altrove, intaccherà la nostra determinazione a raggiungere gli obiettivi della guerra”. Il riferimento al rischio di un mandato di arresto nei suoi confronti da parte della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Netanyahu replica che se dovessero arrivare mandati d’arresto per esponenti israeliani, sarebbe “uno scandalo di portata storica” e parla di quella che sarebbe una “macchia indelebile per tutta l’umanità”, un “crimine d’odio antisemita senza precedenti”. Il premier conclude le dichiarazioni invitando i leader mondiali a esprimersi contro l’ipotesi di mandati d’arresto, un’eventualità che avrebbe ripercussioni non solo sul diritto di Israele all’autodifesa ma su quello di “tutte le democrazie nel mondo”.

LA VERSIONE DEL WSJ – Secondo il Wall Street Journal la proposta di tregua avanzata da Tel Aviv sarebbe più generosa di quella circolata nelle ultime ore sui 40 giorni di stop alle ostilità. Si tratterebbe di un’intesa a due fasi che sia Israele che Hamas devono ancora accettare: la prima prevede il rilascio di almeno 20 ostaggi in tre settimane per un numero imprecisato di prigionieri palestinesi, la seconda fase includerebbe un cessate il fuoco di 10 settimane durante le quali Hamas e Israele si accorderebbero su un rilascio più ampio di ostaggi e su una pausa prolungata nei combattimenti che potrebbe durare fino a un anno. L’ala politica di Hamas, si legge, avrebbe anche risposto positivamente, salvo poi lamentarsi del fatto che i termini non facessero alcun riferimento esplicito alla fine della guerra, secondo funzionari egiziani a conoscenza dei colloqui.

LA PROPOSTA DI HAMAS La proposta avanzata nei giorni scorsi da Hamas era ben diversa. Una proposta a lunghissimo termine che prevedeva dei cambiamenti sostanziali nei rapporti tra Israele e Palestina ma che, proprio per questo, era di difficile accettazione da parte di Tel Aviv. Il partito armato aveva avanzato l’idea di una tregua di almeno 5 anni in cambio del disarmo del braccio combattente di Hamas e l’avvio di negoziati per la creazione di uno Stato palestinese secondo i confini del 1967. Una proposta quasi utopistica se si tiene conto che Benjamin Netanyahu si è sempre detto contrario alla nascita di due Stati e che questo vorrebbe dire sgomberare circa 700mila coloni illegali presenti nei Territori occupati.

QUASI 35MILA MORTI – Mentre si cerca un’intesa, la guerra va però avanti. Nei raid di ieri almeno 34 persone sono state uccise, tra cui 26 a Rafah. I caccia israeliani, sottolinea l’agenzia Wafa, hanno lanciato raid sulle aree a ovest della città all’estremo sud della Striscia e sulla periferia orientale di Beit Hanoun, nella parte Nord. Morti che fanno crescere il già sanguinosissimo bilancio dall’inizio del conflitto, con il numero dei decessi che sfiora ormai i 35mila. L’aeronautica israeliana fa sapere di aver colpito le basi di lancio di razzi a Gaza da cui ieri sono partiti i proiettili verso la città israeliana meridionale di Sderot, oltre a tunnel e infrastrutture terroristiche nell’area.

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