Molti gli aggiornamenti del bollettino, ormai quotidiano, sulle mobilitazioni di studenti universitari contro gli attacchi israeliani a Gaza. Negli Stati Uniti, soprattutto, ma non solo. La Columbia University, epicentro della protesta in America, ha cominciato a sospendere gli studenti che partecipano alle mobilitazioni pro Palestina e che si sono rifiutati di sgomberare il campus. In risposta, gli studenti hanno occupato la Hamilton Hall, ribattezzandola Hind’s Hall in onore di Hind Rajab, bimbo di 5 anni, ucciso dalle forze israeliane a gennaio. Anche la Cornell University, vicino a New York, sull’esempio della Columbia, ha cominciato a sospendere gli studenti. Ad annunciarlo la presidente dell’ateneo dello stato di New York, Martha Pollack. Lunedì sera la polizia ha compiuto arresti nel campus della California State Polytechnic University e ha tentato di disperdere i manifestanti filo-palestinesi che avevano occupato un edificio del campus per oltre una settimana. La polizia ha inoltre arrestato circa 30 manifestanti presso l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill. Trentacinque invece gli arresti all’università del Texas. Negli Usa, dall’inizio delle proteste, sono state arrestate oltre 1.100 persone. In Canada, gli studenti manifestano nel campus dell’università di Ottawa.

Secondo Joe Biden “l’occupazione con la forza di un edificio nel campus universitario è un approccio sbagliato”, a dirlo è il portavoce del Consiglio per la sicurezza americana, John Kirby, in un briefing con un ristretto gruppo di giornalisti a proposito delle proteste pro-Gaza alla Columbia University di New York. “Interrompere la legittima attività universitaria non è compatibile con l’idea di manifestazione pacifica”, ha sottolineato il funzionario. Tre giorni fa il segretario di Stato Antony Blinken, da Pechino, ha affermato che le proteste sono “parte della democrazia”, criticando però il “silenzio” da parte dei manifestanti della Columbia University e di altri atenei sui militanti palestinesi di Hamas che il 7 ottobre hanno attaccato Israele. “Le proteste sono un marchio della democrazia. I nostri cittadini fanno conoscere le loro opinioni, la loro rabbia, ogni volta che pensano che sia necessario. Questo riflette la forza del nostro Paese”, ha detto il segretario di Stato.

In Francia la polizia ha sgomberato un gruppo di studenti filo-palestinesi che occupavano un dipartimento dell’università di Saint-Etienne, nel centro della Francia, mentre altri studenti d’Oltralpe continuano a mobilitarsi in altre città del Paese, come Lione, Grenoble e Digione, dopo simili proteste a Parigi. A Saint-Etienne, le forze dell’ordine hanno sgomberato, in particolare, gli accessi al dipartimento di studi politici dell’Università Jean-Monnet, verso le 10:30 del mattino, senza incontrare resistenza da parte della trentina di studenti attivisti. I manifestanti, che secondo la polizia non hanno danneggiato nulla, hanno ottenuto che una delegazione venga ricevuta per discutere con il rettore l’organizzazione di un dibattito sulla questione palestinese. Lunedì la polizia è intervenuta alla Sorbona a Parigi per sgomberare gli attivisti filo-palestinesi che avevano occupato l’ateneo. La ministra francese per l’insegnamento Superiore, Sylvie Retailleau, ha garantito che lo Stato francese “non taglierà le sue sovvenzioni” a Sciences Po Paris, il prestigioso ateneo parigino che ha dato il via alle mobilitazioni studentesche pro Palestina in Francia.

Centinaia di studenti universitari manifestano da questa mattina nei campus di Beirut, in Libano, per esprimere “solidarietà nei confronti dei palestinesi” e per chiedere la “fine dell’offensiva israeliana” nella Striscia di Gaza. Come riferiscono i media libanesi, stamani si manifesta nel campus dell’Università americana di Beirut (Aub) e in alcune sedi dell’università statale libanese (Lu).
Qui gli studenti espongono striscioni chiedendo, tra l’altro, il boicottaggio da parte dei rispettivi vertici dei due atenei di una serie di prodotti commerciali forniti da aziende internazionali come la Hewlett Packard, la Cisco, la Oracle e la Huawei. Questi marchi sono indicati come fornitori di servizi tecnologici “all’occupazione israeliana”.

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