di Carmelo Sant’Angelo

Durante l’intervento in aula dell’onorevole Garnero in Santanchè, i miei occhi osservavano la ministra in precario equilibrio sulla conchiglia che la conduceva fino all’approdo sull’isola dell’oblio: “Open to Dimissioni”. Ho pensato che, oltre all’infausta campagna promozionale, la canicola estiva avesse potuto alimentare queste mie visioni. Così, mentre Filini sentiva le sirene come Ulisse, Fantozzi si manteneva fedele al suo stile con allucinazioni a sfondo mistico, io ero avvinghiato in vaneggiamenti artistici. La conchiglia, spinta dai marosi della politica e dagli infidi venti del giornalismo d’inchiesta, diventava sempre più un precario appoggio per la poltrona ministeriale. Forse inconsciamente, la mia era solo voglia di mare.

Passano 24 ore e inopinata, invece, sortisce l’epifania. Il merito è della nota di Palazzo Chigi che stigmatizza l’operato dei giudici, che sarebbero già pronti a boicottare le elezioni europee. “In un processo di parti non è consueto che la parte pubblica chieda l’archiviazione e il giudice dell’udienza preliminare imponga che si avvii il giudizio. In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati è fuorilegge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in Parlamento, dopo aver chiesto informazioni all’autorità giudiziaria”.

L’imputazione formulata per ordine del giudice (cosiddetta “imputazione coatta”) ai danni del sottosegretario Delmastro, che rigetta la richiesta di archiviazione, è puntualmente disciplinata dall’art. 409 del codice di procedura penale. I contorni della norma sono stati, inoltre, ben chiariti dalle Sezioni Unite della Cassazione e da reiterati interventi della Consulta, con particolare riferimento all’art. 415 bis cpp (cioè l’esercizio del diritto al contraddittorio).

La capacità, invece, di stupirsi dalla notizia di risultare indagata in un’inchiesta per falso in bilancio e bancarotta riguardante le società della ministra rischia di sfociare nella gag d’avanspettacolo. Chi dovrebbe essere perseguito: i dipendenti? I creditori? O chi altro, se non chi occupa cariche sociali?

Da queste righe, vergate a Palazzo Chigi, ho capito che la mia non era voglia di mare, ma una reminiscenza di precedenti letture. Nella prefazione del libro Burattinai e galoppini: i retroscena della politica locale è riportata, infatti, un’antica leggenda che narra un singolare incontro tra la Verità e la Menzogna. La Menzogna disse alla Verità “Facciamo un bagno insieme, l’acqua del pozzo è molto bella”. La verità, sebbene sospettosa, provò l’acqua e scoprì che era davvero bella. A quel punto si spogliarono e fecero il bagno. Ma improvvisamente la Menzogna uscì dall’acqua e fuggì, indossando i vestiti della Verità. La Verità, furiosa, uscì dal pozzo per riprendersi i vestiti. Ma il mondo, vedendo la Verità nuda, distolse lo sguardo, con rabbia e disprezzo. La povera Verità tornò al pozzo e scomparve per sempre, nascondendo la sua vergogna. Da allora, la Menzogna gira per il mondo, vestita come la Verità.

Ancora una volta la destra s’inventa un nemico, ripercorrendo il trentennale solco tracciato dal caro estinto e difeso con la spada della disinformazione. Il solito tentativo di sfuggire ai fatti, che da un lato sono documentati dalle carte contabili, dalle testimonianze dei dipendenti, dalla consulenza fallimentare, mentre dall’altro una notizia riservata fu riferita apertis verbis. Quello che si finge di non capire è che in Parlamento non si risponde di eventuali reati, ma di condotte certe, eticamente indecenti o imbarazzanti.

Rimangono inascoltate le parole del filosofo americano John Dewey: “la democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata (…), in tal guisa che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua (..)”. Su questo legame, prima ancora delle carte costituzionali, si regge l’esercizio della democrazia.

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