Le dichiarazioni rese dal ministro degli Esteri ucraino Kuleba ad alcuni giornalisti veri (non caricature alla Bruno Vespa) hanno gettato una luce davvero inquietante sui futuri sviluppi della guerra in corso. In sostanza Kuleba ha ribadito che la guerra durerà per anni e che il loro obiettivo è quello di vincere per sconfiggere quella che egli prospetta come una minaccia nei confronti dell’Europa nel suo complesso. Occorrerà anzi liberarsi definitivamente sia di Putin che della Russia.

È a tutti evidente come tale approccio renda impossibile ogni avvio di negoziato e del resto è probabile che il gruppo dirigente ucraino, e forse anche la Nato nel suo complesso, si balocchi nell’idea del tutto impraticabile di uno sfondamento delle linee difensive russe che consenta il recupero dei territori secessionisti della Crimea e del Donbass. Sempre secondo Kuleba tale vittoria sul campo dovrebbe precedere l’entrata a pieno titolo dell’Ucraina nella Nato, anche se è molto probabile che passi concreti in tale direzione verranno compiuti in occasione del prossimo vertice di Vilnius, che vedrà comunque una formalizzazione del rapporto tra Nato e Ucraina. È anche possibile che, di fronte allo stallo della situazione sul terreno si ponga in termini molto più concreti, nonostante le smentite di Kuleba, la questione della scesa in campo di contingenti militari provenienti se non da tutti quantomeno da alcuni paesi della Nato (Baltici e Polonia soprattutto).

Ci troveremo quindi sempre più in bilico sulla guerra nucleare mondiale per un periodo di tempo indefinito che, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe avere termine con le elezioni presidenziali statunitensi previste per l’autunno 2024. E continueranno a crescere i costi economici della guerra, che colpiscono tutto il mondo e vengono aggravati, come nel caso europeo, dalle politiche di innalzamento dei tassi di interesse e dal costante rifiuto di tenere nella minima considerazione i bisogni delle classi lavoratrici, sempre più condannate a una vita di povertà, sofferenza e precarietà.

Di fronte all’enorme e crescente peso umano ed economico della guerra continua l’assoluta passività delle classi dirigenti europee, sdraiate fino all’inverosimile sulle posizioni di Biden, che non vuole la pace perché è consapevole del fatto che la guerra in corso sta convenendo enormemente agli Stati Uniti, al complesso militare-industriale ma anche alle multinazionali dell’energia e alla Nato.

Giorgia Meloni è la più sdraiata di tutti, e non solo perché nel suo governo le lobby armamentistiche ed energetiche dettano legge, ma anche per una certa affinità tra le nostre destre e quelle atlantiste ad oltranza che governano a Kiev e a Varsavia. Come ha scritto il bravo storico Alessandro Barbero, e altri prima di lui, l’ignoranza e la cancellazione della memoria storica preparano il terreno per nuove guerre, nuovi orrori e nuovi fascismi. Del resto nella Repubblica Ceca degli storici sono stati condannati da un tribunale penale per aver contestato la verità ufficiale sull’eccidio di Kathyn.

Sono quindi almeno tre le guerre che Meloni & Co. portano avanti. La prima è quella contro la Russia, ma anche contro chiunque metta in discussione l’ordine internazionale basato sul dominio dell’Occidente, che è in crisi irreversibile. La seconda è contro i poveri e i lavoratori che della prima guerra sono le vittime indirette. La terza è quella contro la cultura, l’informazione (vedi anche la persecuzione infinita contro Julian Assange), lo spirito critico e la verità.

La guerra totale che si prepara non ha bisogno solo di armamenti (a quelli ci pensano Crosetto) ma di cittadini lobotomizzati e analfabeti, di giovani anestetizzati e ridotti al ruolo di tristi marionette che conducono una triste esistenza più che altro virtuale. Se vogliamo garantire un futuro alla specie umana dobbiamo fermare questi governi finché siamo in tempo.

In Italia apparentemente tutto tace e parrebbe che ci stiamo incamminando rassegnati verso l’estinzione. Ma in Francia, storicamente cuore politico dell’Europa, la possibile saldatura tra la rivolta delle banlieues, quella delle pensioni, quella dei gilet gialli e quella dei contadini potrebbe finalmente spazzare via l’odioso regime di Macron. E soprattutto nel resto del mondo, dalla Cina all’America Latina, dal Rojava che resiste alla Palestina in lotta contro il colonialismo sionista, al Sahara Occidentale, si prepara l’avvento di un nuovo sistema multipolare basato sui diritti dei popoli e sull’eguaglianza sovrana degli Stati. Non facciamoci trovare impreparati.

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