Abrogare il blocco della prescrizione introdotto dalla riforma Bonafede, mantenendo in vita anche l’improcedibilità inventata dalla legge Cartabia? Sarebbe “una soluzione certo molto favorevole per le difese degli imputati, ma per nulla per le vittime e per le parti civili“. A scriverlo è il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale di Milano e già consulente di Marta Cartabia, Guardasigilli nel governo Draghi. In un articolo pubblicato sulla rivista online Sistema penale, Gatta riporta i contenuti della sua audizione del 27 giugno di fronte alla Commissione Giustizia della Camera, che sta esaminando tre proposte di legge in materia di prescrizione presentate rispettivamente da Enrico Costa (Azione), Ciro Maschio (FdI) e Pietro Pittalis (Forza Italia). Tutti e tre i testi hanno lo stesso scopo: cancellare lo stop al decorso del termine di estinzione del reato dopo la sentenza di primo grado, istituito dalla legge “Spazzacorrotti” dell’ex ministro M5s Alfonso Bonafede. Un obiettivo rivendicato in particolare da Costa, che a dicembre aveva presentato un ordine del giorno per tornare alla disciplina della riforma Orlando del 2017, cioè alla sospensione del termine – per un massimo di 18 mesi – sia dopo la sentenza di primo grado che dopo quella di appello. L’atto di indirizzo era stato approvato con i voti di tutto il centrodestra e il parere favorevole del governo.

Né la proposta di Costa né quella di Maschio, però, prevedono davvero il ritorno alla legge Orlando. Accanto al ripristino della vecchia norma, infatti, entrambe lasciano in piedi anche il contestatissimo meccanismo dell’improcedibilità introdotto dalla riforma Cartabia del 2021, in base al quale – a regime – la maggior parte dei processi si estingue se dura più di due anni in Appello o di un anno in Cassazione. In questo modo, avverte il professor Gatta, “correrebbero nei giudizi di secondo e terzo grado due diversi termini: quello di prescrizione del reato e quello di improcedibilità dell’azione penale”. E quindi “il procedimento penale potrebbe andare in fumo o perché il reato si prescrive o perché l’azione penale diventa improcedibile, a seconda del termine che matura per primo”. Una sorta di doppia tagliola che sarebbe un colpo di grazia per le speranze di giustizia delle vittime dei reati, i cui avvocati – nota d’altra parte il penalista – “non sono altrettanto presenti nel dibattito pubblico” (e in Parlamento, aggiungiamo noi) rispetto a quelli degli imputati. L’improcedibilità, sottolinea Gatta, “è una soluzione tecnica alternativa alla prescrizione del reato: o l’una, o l’altra. Un sistema ibrido renderebbe i giudizi di impugnazione come una sorta di campo minato; incentiverebbe le impugnazioni per aumentare le chance di una morte anticipata del procedimento penale”.

Sul tema delle troppe impugnazioni – dovute alla speranza di guadagnare la prescrizione – è intervenuto anche l’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, nonostante l’inedito “giustizialismo” di Forza Italia, che si era opposta alla sua audizione (chiesta dal Movimento 5 stelle) prendendo a pretesto la recente condanna per rivelazione di segreto d’ufficio. “In quasi tutti i Paesi occidentali, a eccezione della Grecia, la prescrizione non decorre più dopo l’inizio del processo“, ha detto Davigo. Perciò, ha sottolineato, la questione “non può essere trattata senza pensare agli effetti che ha sul processo penale, di cui da una lato è la causa della lunghezza e dall’altro è l’effetto della lunghezza dei procedimenti. Soprattutto alla luce del fatto che nel nostro Paese c’è una percentuale di impugnazioni sconosciuta negli altri Paesi. In Francia solo il 50% delle sentenze di condanna viene appellato, in Italia pressoché tutte. Per non parlare dei ricorsi in Cassazione: la Corte di Cassazione francese fa mille processi l’anno, quella italiana ne fa novantamila, di cui sessantamila penali. L’80% di questi viene peraltro dichiarato inammissibile. Qualunque valutazione dell’istituto della prescrizione non può non tenere conto di questi aspetti correlati”, ha incalzato.

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