Dai 9 euro lordi all’ora compresi buoni pasto e sanità integrativa proposti dai calendiani ai 10 sognati da Avs. In mezzo i 9 euro comprensivi dei contributi proposti dal M5s e i 9,5 estratti dal cilindro da una parte del Pd forse nel tentativo di superare a sinistra i pentastellati. Alla Camera sono depositate sei proposte di legge delle opposizioni che puntano a introdurre una “giusta retribuzione” o un salario minimo per aiutare gli almeno 3 milioni di working poor italiani. Dem e Cinquestelle nelle ultime settimane hanno di nuovo manifestato l’intenzione di unire le forze per questa battaglia. “Finalmente stiamo raggiungendo una convergenza”, ha detto giovedì Giuseppe Conte, suggerendo che stavolta si potrebbe arrivare a un testo condiviso con il partito guidato da Elly Schlein per fare pressione sul governo Meloni. Che come è noto è contrario e preferisce proseguire a colpi di mini tagli del cuneo fiscale o bonus di Stato per i lavoratori del turismo impegnati nei festivi e di notte.

Fissare un minimo legale, come in altri 22 Paesi Ue e 140 nel mondo, non è la panacea di tutti i mali (non risolve i problemi di chi ha un part time involontario o lavora pochi mesi all’anno) ma secondo gli esperti sarebbe un primo passo importante per tutelare il potere di acquisto anche dei lavoratori non coperti dai contratti collettivi e mettere un freno al dumping salariale. Anche perché ha il pregio della semplicità e della immediata esigibilità. Quanto alle cifre, secondo la direttiva europea in materia la soglia minima andrebbe fissata al 60% del salario mediano lordo e al 50% di quello medio. Secondo l’Istat, nel 2020 il primo si è fermato per i lavoratori dipendenti non agricoli a 11,7 euro l’ora mentre il secondo si attesta a 14,45 euro, dati che porterebbero a un minimo di soli 7 euro circa. L’Inps, utilizzando i dati amministrativi Uniemens, individua invece un intervallo compreso tra 8 e 9 euro lordi.

La soglia minima per il M5s: 9 euro lordi – La proposta a prima firma di Giuseppe Conte, depositata il 13 ottobre 2022, ricalca in gran parte quelle dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo che era stata la prima a occuparsene nel luglio 2018. La premessa ricorda che “in alcuni settori i minimi salariali fissati nei cosiddetti contratti leader non sembrano adeguati” e che i contratti pirata con condizioni normative ed economiche peggiorative “danno vita a dannosi fenomeni di distorsione della concorrenza”. Per questo il testo introduce una soglia minima inderogabile di 9 euro lordi all’ora, pari a circa 7 euro netti, sotto cui il trattamento economico minimo (Tem) non può scendere. Per preservare la centralità della contrattazione collettiva – ed evitare il muro dei sindacati – il leader M5s propone in parallelo di valorizzare i contratti collettivi nazionali di lavoro (ccnl) stipulati dalle associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative: il trattamento economico complessivo che fissano per un determinato settore costituirebbe “retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato”. Ma i contratti verrebbero scavalcati nel caso offrano un minimo più basso di 9 euro lordi orari. Cifra che verrebbe poi adeguata ogni anno in base all’andamento dei prezzi da una commissione presso il ministero del Lavoro con rappresentanti Inps, Istat, Inl, sindacati e datori di lavoro. Per la misurazione della rappresentatività verrebbero utilizzati i criteri degli accordi interconfederali rimasti finora in gran parte sulla carta.

Le proposte Pd: prevalenza ai contratti o 9,5 euro lordi – La proposta di Debora Serracchiani e dell’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando, datata sempre 13 ottobre, ruota intorno a un salario minimo da stabilire con decreto ministeriale solo per gli ambiti di attività non coperti dai ccnl stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Per i settori per i quali esiste un contratto, invece, verrebbe esteso a tutti i lavoratori il trattamento economico stabilito dal ccnl leader. Con il risultato che contratti nazionali con minimi molto bassi come quello della vigilanza privata (il recente rinnovo è stato firmato da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs) diventerebbero un riferimento per l’intero comparto. Molto simile il testo del dem Mauro Laus – salito agli onori delle cronache quando Ken Loach rifiutò un premio per solidarietà con due lavoratori licenziati dalla sua coop – che ha però aggiunto un salario minimo di garanzia fissato da una commissione istituita presso il Cnel.
Il 24 ottobre Orlando, che da ministro non voleva un minimo legale, ha poi presentato un’altra proposta in cui invece compare la cifra spuntata a sorpresa nel programma del Pd: “In ogni caso il trattamento economico minimo non può essere inferiore a 9,5 euro all’ora, al lordo degli oneri contributivi e previdenziali“. In seconda battuta varrebbe come riferimento anche in questo caso la retribuzione prevista dal ccnl stipulato dalle organizzazioni sindacali e associazioni datoriali comparativamente più rappresentative nel Paese. Una commissione formata da membri del Cnel e rappresentanti di ministero, Inps e Inl entrerebbe in gioco per “favorire l’individuazione del complessivo trattamento economico” nel caso in cui un contratto non la stabilisca. L’ultimo articolo usa bastone e carota (per esempio l’accesso condizionato ai benefici economici riservati ai datori) per stimolare il rinnovo dei contratti collettivi.

L’idea di Calenda: 9 euro lordi tutto compreso – Il leader di Azione Carlo Calenda, che fino alla scorsa estate era contrario alla fissazione per legge di una soglia minima, ha cambiato idea durante la campagna elettorale per le politiche annunciando di voler convergere sulla cifra di 9 euro indicata dai 5 stelle. Per poi chiedere a Pd e pentastellati di fare una battaglia comune per l’approvazione. Ma la proposta di Azione-Italia viva, a prima firma di Matteo Richetti, prevede che nei 9 euro siano compresi oltre ai contributi anche i “benefìci accessori” – per esempio i buoni pasto – e la sanità e previdenza integrativa. Non si parla di tredicesima e Tfr, che sono invece citati nella proposta pubblicata sul sito del partito. Il valore netto per il lavoratore scenderebbe comunque sotto i 7 euro.

Sinistra italiana punta ai 10 euro – Anche la proposta di Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), utilizzando lo stesso schema di quelle Pd e M5s, prende come riferimento per i lavoratori subordinati il trattamento economico definito dal contratto collettivo nazionale del settore o della categoria stipulato dalle organizzazioni sindacali e dei datori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Ma fissa una cifra minima più alta: 10 euro lordi, da rivalutare ogni anno in base all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo. Il testo si occupa anche dei collaboratori, stabilendo che ricevano un compenso “non inferiore a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale che disciplina, nel medesimo settore, mansioni equiparabili svolte dai lavoratori con contratto di lavoro subordinato”.

La raccolta firme di Unione popolareUnione popolare, che al momento non ha rappresentanti in Parlamento, sta promuovendo dal 2 giugno una campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che introduca un salario minimo di 10 euro lordi all’ora da rivalutare ogni anno in base all’indice Ipca. Verrebbe fatta salva l’applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro che prevedono un trattamento economico minimo orario, “corrispondente al livello di inquadramento più basso, superiore all’importo del trattamento economico minimo legale”. La disciplina si applicherebbe anche ai rapporti di collaborazione che consistono in prestazioni prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche attraverso piattaforme digitali.

articolo aggiornato alle 13:10 del 23 giugno

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