di Federica Pistono*

La narrativa libica ha spesso dimostrato di non aver nulla da invidiare, per la particolarità del suo percorso culturale, alle altre letterature arabe. Il lettore italiano, inoltre, dovrebbe provare una naturale curiosità verso una terra che, all’inizio del secolo scorso, l’Italia ha occupato per circa trent’anni. Tuttavia, il numero delle opere letterarie libiche tradotte e pubblicate nel nostro paese resta ancora esiguo. Ecco perché desta interesse la pubblicazione del romanzo I recinti degli schiavi della scrittrice libica Najwa Bin Shatwan (Atmosphere Libri, 2023), un’autrice che ha vinto diversi premi letterari e i cui romanzi sono giunti per ben due volte nella short list del prestigioso Booker arabo.

Tra ricostruzione storica ed elaborazione fantastica, l’opera presenta al lettore un affresco inedito della società libica, colta nel passaggio dalla dominazione ottomana alla colonizzazione italiana, con una focalizzazione sul fenomeno della schiavitù nera al servizio delle ricche famiglie musulmane del Nord Africa.

Ambientato a Bengasi tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, il romanzo ripercorre infatti, attraverso la vicenda di Atiqa, figlia di una schiava nera e del suo padrone bianco, la storia della schiavitù in Libia, analizzando il fenomeno della tratta degli esseri umani, rapiti nelle regioni dell’Africa centrale e venduti nelle città della costa nordafricana, ed esplorando la tematica delle condizioni di vita e di lavoro di quelli che sopravvivevano agli stenti del viaggio attraverso il deserto. L’autrice focalizza l’attenzione, in modo particolare, sulla situazione femminile. Attraverso l’avvincente narrazione, il lettore viene a conoscenza delle sofferenze e degli abusi patiti da tutte le donne che vivevano la condizione di schiave e concubine dei padroni, sfruttate sessualmente e costrette ad abortire quando restavano incinte, per evitare future rivendicazioni di eredità da parte dei figli nati da queste unioni.

La trama ruota intorno alla storia di Atiqa, che è già adulta, sposata e madre di due bambini, quando un giorno, alla sua porta, bussa uno sconosciuto. È Ali, un cugino che la protagonista non ha mai incontrato, e che ora la cerca per rivelarle la storia tormentata dei suoi genitori e per rimediare, almeno in parte, alle sofferenze che la giovane ha sopportato a causa di un’antica tragedia familiare. Ali, affetto da una malattia terminale, ha ottenuto infatti i documenti che dimostrano l’identità di Atiqa e i suoi diritti sull’eredità del padre. Dopo la diffidenza iniziale, tra i due cugini nasce un’amicizia che consente loro di ricostruire il comune passato familiare. Dai resoconti di Ali emerge la storia dei genitori di Atiqa, deceduti da tempo. Il padre era Muhammad Bin Shatwan, zio di Ali, un ricco commerciante arabo la cui famiglia possedeva numerosi schiavi, fra i quali Tawida, amante e concubina di Muhammad e madre di Atiqa.

Pur essendo le unioni tra padroni e schiavi piuttosto frequenti in una società come quella libica di fine Ottocento, la relazione tra i genitori di Atiqa si distingueva dalle altre simili, almeno nei primi tempi, per il legame intensamente passionale e reciproco che la caratterizzava, anche se, in seguito, il rapporto tra i due amanti veniva spezzato dalla durissima opposizione della famiglia dell’uomo.

Si tratta di un romanzo corale che presenta una ricca galleria di personaggi, maschili e femminili, approfonditi e ben delineati che contribuiscono, ciascuno con la propria vicenda, a svelare nuovi aspetti della vita libica dell’epoca, affrontando non solo i temi dello schiavismo e del razzismo, ma anche quello del ricorso agli insegnamenti religiosi per giustificare lo sfruttamento sessuale delle donne schiavizzate.

La storia di Atiqa, ragazza “con la pelle nera, i capelli rosso vino e gli occhi verde mandorla”, richiama l’attenzione del lettore sulla problematica dell’identità mista dei figli nati dalle relazioni tra schiave e padroni, persone dal ruolo e dalla collocazione sociale non chiaramente definiti, rifiutate dalla famiglia paterna e spinte pertanto ai margini della società come cittadini di serie B.

I recinti degli schiavi apre dunque una finestra su un capitolo oscuro della storia libica e illumina la vita sociale di quel periodo storico con grande pathos e umanità, svelando storie dolorose sepolte dal tempo e ignorate dai più.

* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

Articolo Precedente

Alle origini del kitsch

next