Una mezza riforma sulla giustizia sportiva che non cambia quasi nulla, eppure scontenta tutti. Un pannicello caldo sulle plusvalenze, comunque il massimo che il governo potesse fare con gli strumenti a disposizione. E poi una retromarcia clamorosa sulla legge sul limite dei mandati: niente regalone, ma nemmeno regalino ai boiardi delle Federazioni, che ora rischiano davvero di finire tutti a casa e possono sperare solo nella Consulta.

GIUSTIZIA SPORTIVA: UNO SPOT, PIÙ CHE UNA RIFORMA VERA – Il primo, vero provvedimento di Andrea Abodi da ministro dello Sport è destinato a far discutere. Per mesi il ministro ha parlato, più o meno a proposito, dello scandalo plusvalenze, di come funziona o non funziona la giustizia sportiva, della volontà – anzi, della necessità di intervenire. “Mai più casi Juve!”, si diceva. Alla fine nel decreto Assunzioni non c’è la grande riforma per non condizionare più i campionati a stagione in corso, su cui pure avevano ragionato i tecnici di Palazzo Chigi, ma solo una norma minimale che prevede l’esecutività delle sentenze una volta passate in giudicate, per evitare quantomeno il desolante spettacolo del balletto di punti, tolti, restituiti e infine definitivamente sottratti ai bianconeri.

In realtà al governo pensavano a un intervento molto più radicale: una vera riforma del sistema, che lasciasse invariati i termini per le indagini, ma condensasse processi e ricorsi in estate, durante la pausa, per non toccare mai le classifiche a stagione in corso. Bello da dirsi, difficile a farsi però. Tutti pensano alla straordinarietà del caso Juve, che ha fatto scuola in negativo. Ma l’ordinarietà dei processi sportivi è altra, ad esempio i ritardi nei pagamenti degli stipendi o i fallimenti delle squadre in Serie C, che pure prevedono delle penalizzazioni in classifica, e sarebbero diventati ingestibili con la nuova norma. Senza considerare che per avere la certezza di esaurire i processi durante l’estate sarebbe stato necessario ridurre ulteriormente i tempi del processo, o addirittura sopprimere un grado di giudizio, comprimendo ulteriormente i diritti della difesa, cioè l’esatto contrario lamentato nella vicenda appena vissuto. Così non se n’è fatto nulla.

Il governo allora ha ripiegato sul piano B: sentenze esecutive solo quando definitive. Una modifica minima, che pure ha sollevato diversi dubbi e polemiche, tra cui i rilievi del Dagl. Alla fine la riforma passa, ma è una riforma a metà. Il classico specchietto per le allodole, perché – per fare l’esempio della Juve – il -15 magari non si vede in classifica fino all’ultimo ricorso, ma c’è comunque, insieme al condizionamento sul campionato. Si tratta per altro di un unicum giuridico, quello di sentenze non esecutive, che rischia di complicare ulteriormente il funzionamento del sistema, invece che semplificarlo. Per non violare l’autonomia dello sport il governo è stato costretto a riformulare la norma in termini di principio generale, che andrà recepito da Coni e Federazioni, che a loro volta non ne vogliono sapere. Per ora, siamo allo spot.

PANNICELLO CALDO SULLE PLUSVALENZE – Nel decreto c’è anche la norma sulle plusvalenze, di cui aveva parlato mesi fa il ministro Giorgetti, secondo lo schema già raccontato dal Fatto: tassazione immediata (e non più spalmata in diversi anni) per le plusvalenze senza passaggio di denaro, cioè quelle in teoria fittizie. E dei benefici fiscali si può usufruire solo per giocatori che restano in squadra almeno due anni, niente scambi di figurine. Una mossa per rendere meno convenienti i trasferimenti artefatti, ma dall’impatto molto limitato: parliamo di cifre comunque minime per club di Serie A, che per altro non si applica ai bilanci in passivo, cioè quasi tutti. Semmai a scoraggiare nuovi trasferimenti fantasiosi ci penseranno le inchieste delle Procure, che hanno spaventato tanti dirigenti. Potrebbe essere più rilevante l’articolo che istituisce nuovi tipi di controlli finanziari sulle società: quali non è chiaro, per ora si tratta di una delega in bianco al Coni e alle Federazioni, che dovrà essere riempita di contenuti. In attesa delle nuove regole, il rischio che si intravede è quello di togliere autonomia e potere alla Covisoc e portare in Federazione i controlli, che però così sarebbero meno indipendenti.

LIMITE DEI MANDATI: SALTA IL REGALO, AI BOIARDI RESTA SOLO LA CONSULTA – Infine il provvedimento più atteso dalla casta delle Federazioni, e anche la vera sorpresa di questo Consiglio dei ministro. La modifica della legge sul limite dei mandati, per consentire ai boiardi dello sport di tenersi la poltrona, è clamorosamente saltata all’ultimo minuto. Come anticipato negli scorsi giorni dal Fatto, agitando lo spauracchio del ricorso in Corte costituzionale, i potentati federali sembravano essere riusciti a convincere il ministro Abodi a far cadere il limite. E dopo questa apertura, anche Giovanni Malagò aveva provato a saltare sul carro della rielezione. La proposta era cancellare il tetto e introdurre un quorum maggiorato del 65%, che avrebbe consentito ai presidenti di rimanere in carica potenzialmente in eterno. Ieri il governo aveva scelto di limitarsi a inserire la parola “consecutivi” nel testo della legge: il tetto rimaneva ma solo per tre mandati di fila, dopo una pausa ci si sarebbe potuti ricandidare. Un po’ come i sindaci. Un compromesso per sminare il ricorso in Corte costituzionale che aveva scontentato tutti, sia chi lo vedeva come un regalo ai potentati federali, sia i diretti interessati che speravano di avere di più e invece così avrebbero dovuto almeno per il momento farsi da parte. Forse proprio per questo alla fine non se n’è fatto nulla: troppe polemiche, da una parte e dall’altra. Il ministro ha deciso di stralciare la norma: deciderà la Consulta a luglio e poi, eventualmente, ci sarà una modifica normativa, a cui potrebbe aggiungersi nelle prossime settimane un intervento serio sui principi interni che regolano deleghe, voto e candidature. Questa almeno sarebbe una vera riforma. Per ora resta il limite di tre mandati: così al prossimo giro i boiardi andranno tutti a casa.

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