Le persone morte nel naufragio al largo di Pylos, in Grecia, potrebbero essere fino a 600. La stima drammatica è del medico che ha accolto i superstiti nell’ospedale di Kalamata: Manolis Makaris, secondo quanto riferito dalla Bbc, ha raccolto testimonianze secondo cui a bordo i passeggeri erano 750. “Tutti mi hanno parlato di questo numero”, ha detto. Fino ad ora sono stati recuperati 78 corpi senza vita mentre le persone tratte in salvo sono solo un centinaio. Altre testimonianze raccontano che nella stiva della nave c’erano circa 100 bambini. Intanto continuano le polemiche per la gestione dei soccorsi da parte delle autorità greche. Secondo le ultime notizie, sono stati arrestati 11-12 presunti scafisti: i media greci hanno riferito che si tratta di persone di origine egiziana, identificate dai migranti soccorsi che hanno pagato tra i 4mila e i 6mila dollari. Non è da escludere – scrivono i siti greci – che il numero degli arresti aumenti nelle prossime ore. Gli imputati, secondo le informazioni della Guardia Costiera, sono già stati portati in procura. Intanto il governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.

Proprio le testimonianze delle persone portate in salvo possono aiutare a capire cosa è successo sul barcone. “Hanno viaggiato per cinque giorni in condizioni disperate”, ha detto all’Ansa la volontaria della Croce rossa sul posto Marilena Giftea, “senza più acqua e pensavano che sarebbero morti: alcuni raccontano che già durante il viaggio, prima del naufragio, delle persone sono morte per il caldo e la disidratazione, ma non abbiamo ancora conferme di queste vittime”. Il peschereccio Adriana, questo il nome del barcone naufragato nel sud del Peloponneso, secondo i soccorritori è partito vuoto dall’Egitto, si è fermato nel porto libico di Tobruk per caricare i migranti e poi ha proseguito la sua rotta verso l’Italia. Lo riferisce la tv greca Ert. Il porto di partenza spiegherebbe la nazionalità egiziana dei presunti scafisti arrestati dalle autorità greche che stanno sottoponendo a interrogatori stringenti i sospetti trafficanti di esseri umani.

Resta ora da capire la dinamica del naufragio e, soprattutto, se è stato fatto il possibile per salvarli. Stando alle prime ricostruzioni, il barcone era partito dalla Libia. Il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano ha fatto sapere di aver ricevuto martedì mattina una e-mail che indicava un barcone in difficoltà, con a bordo circa 750 migranti. Nella segnalazione non era fornita alcuna posizione, ma veniva riportato solo il numero di un telefono satellitare presente a bordo. La Centrale operativa della Guardia costiera di Roma, ricevuta la comunicazione, ha contattato il numero, avviando nel contempo le procedure di localizzazione del telefono. Accertato che l’imbarcazione era nell’area di responsabilità per la ricerca e soccorso in mare greca, a 60 miglia nautiche dalle coste greche e a 260 miglia nautiche dalle coste italiane, la Centrale ha contattato la Guardia costiera greca, fornendole tutte le informazioni utili per le operazioni di soccorso.

Al momento però, mancano le conferme da una parte e dell’altra sulla gestione dell’intervento in mare. Il Papa , tramite un telegramma di cordoglio inviato dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin al Nunzio in Grecia, ha detto di essere “profondamente costernato per la devastante perdita di vite umane” e offre “preghiere sincere per i tanti migranti che sono morti, i loro cari e tutti coloro che sono stati traumatizzati da questa tragedia”. Decine in queste ore le manifestazioni di sconcerto e preoccupazione da parte di associazioni e istituzioni. L’Unicef si dice “profondamente addolorato e scosso dalle molteplici segnalazioni secondo cui fino a cento bambini sarebbero rimasti intrappolati nella stiva di un’imbarcazione che si è rovesciata e affondata al largo della costa della Grecia ieri, in una delle più grandi tragedie in mare nel Mediterraneo degli ultimi anni”, si legge in una nota. “Possiamo supporre che molti di questi bambini abbiano perso la vita, al momento le notizie sui sopravvissuti sono limitate. Ogni perdita di vita è una tragedia. La perdita evitabile di così tante vite di bambine/i nel Mar Mediterraneo è un’atrocità che perseguiterà queste coste per anni a venire. Quando è troppo è troppo“. Per Stella Nanou (Unhcr) “questo potrebbe essere la peggior tragedia marittima in Grecia degli ultimi anni“. Raccontando delle testimonianze dei migranti sopravvissuti, Nanou ha spiegato che “parlano di donne e bambini a bordo”, ma ha anche aggiunto che sono confusi e non gli è stato detto dove si trovavano. “Stanno cercando i loro amici e parenti. Sono in un pessimo stato psicologico”, ha concluso Nanou, “quello che sappiamo è che la barca è partita dalla Libia, è rimasta in mare per diversi giorni“, e che “la nave era inadeguata e le persone stavano stufando in condizioni miserabili”.

L’attivista Nawal Soufi, in un post su Facebook, ha fornito un altro pezzo della vicenda ha pubblicato il resoconto dei suoi contatti con i naufraghi nelle ore precedenti alla tragedia, compresa la comunicazione dell’ultima posizione. “Il 13 giugno 2023, nelle prime ore del mattino, i migranti a bordo di una barca carica di 750 persone mi hanno contattata comunicandomi la loro difficile situazione” ha scritto. “Dopo cinque giorni di viaggio, l’acqua era finita, il conducente dell’imbarcazione li aveva abbandonati in mare aperto e c’erano anche sei cadaveri a bordo. Non sapevano esattamente dove si trovassero, ma grazie alla posizione istantanea del telefono Turaya, ho potuto ottenere la loro posizione esatta e ho allertato le autorità competenti”, scrive Soufi, condividendo la sua ricostruzione. “La situazione si è complicata quando una nave si è avvicinata all’imbarcazione, legandola con delle corde su due punti della barca e iniziando a buttare bottiglie d’acqua. I migranti si sono sentiti in forte pericolo, poiché temevano che le corde potessero far capovolgere la barca e che le risse a bordo per ottenere l’acqua potessero causare il naufragio. Per questo motivo, si sono leggermente allontanati dalla nave per evitare un naufragio sicuro”, è la sua ricostruzione. “Non c’era alcuna intenzione di continuare il viaggio verso l’Italia, perché non avrebbero saputo navigare per arrivare in acque italiane, poiché mancava il vero conducente della barca e continuavano a chiedere cosa fare” aggiunge Soufi sottolineando che “avevano assolutamente bisogno di aiuto nelle acque dove si trovavano. Se mi avessero espresso la volontà di voler continuare il viaggio verso l’Italia avrei ovviamente mandato un aggiornamento a Malta, Grecia e Italia, ma i migranti non hanno mai detto nulla di simile”. E ancora: “Durante la notte, la situazione a bordo dell’imbarcazione è diventata ancora più drammatica: i migranti erano confusi e non capivano se quella fosse un’operazione di soccorso o un modo per mettere le loro vite ancora più in pericolo. Io sono rimasta in contatto con loro fino alle 23:00 ore greche, cercando di rassicurarli e di aiutarli a trovare una soluzione”. Fino all’ultima chiamata quando a bordo cominciava a diffondersi la consapevolezza che probabilmente non c’era molto altro da fare: “In questa ultima chiamata, l’uomo con cui parlavo mi ha espressamente detto: ‘Sento che questa sarà la nostra ultima notte in vita’“.

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