La guerra in Europa orientale ha ucciso migliaia di persone, sfollandone milioni. E ha raso al suolo città, causando sofferenze incommensurabili, compresi migliaia di mutilati. Il conflitto, che non sembra destinato a concludersi a breve, ha anche un’altra vittima, spesso trascurata: il nostro pianeta. La guerra moderna ha un enorme impatto sull’ambiente, un impatto che si estende attraverso una sfaccettata e complessa varietà di effetti a breve, medio e lungo termine.

Il conflitto ha accumulato enormi costi ambientali. Il consumo stellare di carburanti fossili ha un’enorme impronta di carbonio. In qualche caso, il degrado degli ecosistemi causato dai combattimenti può rivelarsi irreversibile. E questi costi peseranno a lungo anche dopo i combattimenti, sia localmente sia globalmente. Secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite, il conflitto ha provocato incidenti negli impianti nucleari e in altre infrastrutture energetiche — dalle cisterne di stoccaggio di petrolio alle raffinerie, alle piattaforme di perforazione e agli impianti di gas e agli oleodotti — nelle miniere, nei siti industriali e negli impianti di trasformazione agricola [v. Figura 1].

Come conseguenza, gli episodi di inquinamento atmosferico sono stati molteplici e si è diffusa una grave contaminazione delle acque sotterranee e superficiali. A poco più di un anno dall’inizio del conflitto, le perdite dovute all’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria ammontano complessivamente a circa 52 miliardi di dollari. E sono destinate a salire vertiginosamente.

I costi ambientali, tuttavia, vanno oltre la diretta distruzione della natura a scala regionale, come più di due milioni di ettari di foresta che sono stati finora distrutti, l’esaurimento di molti ecosistemi, il pericolo di scomparsa di rare specie endemiche. Ci sono anche costi globali, come le emissioni extra dovute al conflitto, circa 33 milioni di tonnellate di CO2, assieme a 23 milioni di tonnellate di CO2 prodotti finora dagli incendi bellici. Inoltre, l’Ucraina prevede che la ricostruzione delle infrastrutture e degli edifici distrutti o danneggiati potrebbe costare altri 49 milioni di tonnellate di emissioni. Anche senza i potenziali costi di ricostruzione, queste emissioni equivalgono all’impronta di carbonio di un intero paese come la Grecia o la Bielorussia.

La guerra è sporca anche perché molte macchine e attrezzature utilizzate in battaglia sono molto “sporche”. Per esempio, il serbatoio di un carro armato moderno come il Leopard 2 ha una capacità di 1.200 litri, che bastano a coprire circa 200 chilometri sul terreno, poco più di 300 su strade asfaltate. Un consumo mostruoso, tra poco più di 3 a 5 litri di carburante per ogni chilometro percorso, equivalente a quello di 100 automobili.

Se alcuni economisti affermano che l’impatto sui prezzi energetici accelererà la transizione energetica dai fossili alle rinnovabili, finora la guerra ucraina è uno dei maggiori inquinatori del pianeta. Compressa dalle esigenze e dalle conseguenze più immediate della guerra, la salvaguardia della natura e le più elementari norme di sicurezza ambientale sono passate in secondo piano. Per esempio, le truppe russe hanno scavato profonde trincee nel santuario protetto di Chernobyl, un’area silente dal disastro nucleare del 1986. E, così facendo, potrebbero aver dissotterrato materiale radioattivo pericoloso, con rischi di contaminazione nucleare personale e non solo.

La guerra ha allentato se non annichilito le norme di salvaguardia e sicurezza ambientale anche con l’impellente aumento della produzione bellica da parte di entrambe le parti in conflitto. E può anche ridurre l’impegno economico dei paesi occidentali co-belligeranti, europei e americani, nell’aiutare i paesi poveri a svilupparsi in un contesto sostenibile. Per esempio, l’amministrazione Biden aveva promesso oltre 11 miliardi di dollari all’anno ai paesi in via di sviluppo entro il 2024, ancorati a questa finalità. Nonostante i limiti tuttora laschi del debito pubblico statunitense, la necessità di indebitarsi per sostenere la guerra può allentare l’impegno nel contrastare i cambiamenti climatici.

Ora che la pura e semplice catastrofe ambientale diventa più evidente, diventa più chiara e importante la necessità di affrontarla. Quando il conflitto finirà, gli sforzi immediati per la ricostruzione non si concentreranno sull’ambiente ma sull’edilizia abitativa, sulla costruzione di infrastrutture e sul ripristino dei servizi. È comprensibile. Ma la bonifica e la ricostruzione ambientale saranno essenziali per migliorare la salute delle persone toccate dalla guerra, per tornare alla vita normale, per evitare ulteriori danni al pianeta.

Senza tenere conto della guerra ucraina, le morti indirette causate dalle guerre post 11 settembre sono state stimate tra 3,6 e 3,7 milioni [Savell, S. (2023) How death outlives war, Providence: Watson Institute at Brown University]. A questo impressionante tributo vanno aggiunti i problemi di salute provocati a milioni di persone dalla distruzione delle economie, dei servizi pubblici e dell’ambiente. Le morti indirette crescono nel tempo con una persistenza molto elevata. Sebbene nel 2021 gli Stati Uniti si siano ritirati dall’Afghanistan, ponendo ufficialmente fine a una guerra iniziata con l’invasione di 20 anni prima, oggi gli afgani soffrono e muoiono per cause legate alla guerra a tassi più alti che mai. E possiamo attenderci che la guerra ucraina, anche dopo l’auspicabile conclusione, possa seguire una traiettoria non molto diversa.

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