Cinema

È morto Francesco Nuti, il grande regista e attore che ha rapito il cuore del pubblico italiano con la sua ruvida e genuina genialità

Lo ha reso noto la figlia Ginevra assieme ai familiari

di Davide Turrini

Ciao Francesco. Il protagonista di Madonna che silenzio c’è stasera e Caruso Pascoski è morto a 68 anni. L’attore pratese se n’è andato dopo una lunghissima e straziante agonia seguita alla caduta dalle scale nel suo appartamento romano nel 2006. Dopo due mesi di coma, tre anni di cure per farlo tornare a camminare e parlare, l’invalidità permanente poi esibita, suo malgrado, nel 2011 prima in tv senza ritegno da Barbara D’Urso a Stasera che sera! (trasmissione poi chiusa) e ad una festa in suo onore nel maggio del 2014 assieme agli amici Pieraccioni, Panariello e Carlo Conti, davanti alle 7mila persone del Mandela Forum di Firenze, Nuti non ce l’ha più fatta e ci ha lasciati per l’aggravarsi delle conseguenze dovute ad una caduta nella sua casa di Narnali.

Spiace a noi, averlo dovuto vedere così, trascinato qua e là come un oggetto inanimato, marionetta gonfia e distrutta, sottoposta al cinico voyeurismo di uno showbiz intenerito ed ipocrita. Quello stesso Francesco Nuti folgorante e abile interprete di una commedia all’italiana che lo vide straordinario protagonista per tutti gli anni ottanta. Figlio della working class, abituato a vivere tra la gente nei quartieri popolari di Firenze e Prato, dietro i telai di una fabbrica tessile per un breve periodo da operaio, cabarettista in tv con i Giancattivi (Alessandro Benvenuti e Athina Cenci), Nuti iniziò il suo percorso d’attore cinematografico grazie Ad ovest di Paperino (1981) assieme ai due compagni di gag, per poi separarsi da loro ed iniziare la carriera “solista” proprio terminate le riprese di questo film.

Nel 1982 è il turno di un capolavoro assoluto di comicità come Madonna che silenzio c’è stasera, film venato di demenziale surrealismo, come di un imponente e doloroso realismo sulla condizione sociale di un qualsiasi dropout di periferia. “O tu vai in Perù, o tu sposti la Chiesa, o tu vinci al Totocalcio”, ripetono in tanti al protagonista Francesco che si barcamena tra una madre ingombrante, il possibile ritorno dell’ex fidanzata e la casuale vittoria a Dilettanti alla ribalta suonando uno stornello memorabile come Pupp’a pera. Non che il film faccia sfracelli, ma grazie al duo magico Maurizio Ponzi (alla regia) e Gianfranco Piccioli (produttore ombra, fondamentale supporto di molto cinema italiano dell’epoca) Nuti si fa conoscere e centra il colpaccio con Io, Chiara e lo scuro, sorta di parodia de Lo spaccone, autentica perla umoristica con il vero campione del biliardo Marcello Lotti, che finisce pure al Certain Regard di Cannes. Il sequel – Casablanca, Casablanca (1985) – consacrerà l’interprete toscano come attore umbratile sì, ma brillante e giocoso, qui definitivamente regista dei suoi film, fino al successo commerciale di Tutta colpa del Paradiso (1985) e Stregati (1986).

Binomio inossidabile con Ornella Muti, giusto una consonante a separarli e una fugace liason ad unirli, per arrivare ai quindici miliardi di incasso per Caruso Pascoski di padre polacco (1988). Con lui il sodale Giovanni Veronesi allo script, e il fratello Giovanni alle musiche. Fossetta sul mento, sguardo languido da cucciolo, Nuti rapisce il pubblico italiano, come i coevi Verdone- Benigni-Troisi, parlando all’intero paese con la sua ruvida e genuina cattiveria toscana. Per lui però il successo è anche foriero di problemi. Nell’autobiografia Sono un bravo ragazzo (Rizzoli) scrive: “Prima ero una fava che si finiva di seghe, poi il successo e fica a palate, poi dopo merda a palate!”.

Già perché Nuti vive i suoi “amorazzi” invaghendosi di continuo della sue partner che fortemente vuole sul set per i suoi film, che a loro volta diventano campioni d’incassi. In Caruso c’è Clarissa Burt; in Willy Signori (1989) una Isabella Ferrari da urlo; in Donne con le gonne, Carole Bouquet che si permette di legare, autorialità un po’ misogina evidente, perfino alla catena come una cagna ferreriana. Nuti subito s’impantana nella complicatissima accettazione di sé, definendosi un “incompreso” prima di tutto dai critici e poi, forse, da quelle stesse donne improvvisamente arrivate “a palate”.

Il rovello d’artista è tutto in quella battuta dello psicologo Caruso di fronte al maresciallo Novello Novelli che lo sta arrestando, quella richiesta di un “bacino” che non sembra mai bastare, ripetuto di continuo come fosse un bimbo insaziabile e incontentabile. Il sogno del comico pratese s’infrange in un amen. Un Icaro che con le ali di cera si avvicina al film assoluto, bigger than life, bruciandosi. Con OcchioPinocchio (1994), originale e contemporanea versione del racconto di Collodi, inclinata drammaturgicamente tra oppressione classista e anarchica libertà del singolo, Nuti brucia venti miliardi di budget, due anni di set, e registra un disastro al botteghino. Con questo film scopre definitivamente le carte di una sua chiara deriva narcisistica e megalomane, modello Celentano con Joan Lui (percorso inverso per il Molleggiato che solo dopo i tentativi autoriali diventerà re del box office con commedie popolari), e dopo nemmeno un decennio di ribalta si infila con la testa nel tunnel della fine. Francesco si perde nell’alcol e nelle incazzature, insegue continuamente uno script e un film che mai si farà, finendo nell’errore del remake di sé stesso (Il signor Quindicipalle, 1998 e Caruso zero in condotta 2001). Poi il crack, l’ematoma assassino, il recupero impossibile, l’esposizione in pubblico di un uomo solo con il suo dolore e la sua impotenza.

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