Dopo la trionfale riammissione nella Lega araba, dalla quale era stata espulsa nel 2011, la Siria di Bashar el-Assad ha ottenuto un nuovo successo diplomatico: l’invito, inoltrato ufficialmente la scorsa settimana, a partecipare alla Cop-28 in programma alla fine dell’anno negli Emirati Arabi Uniti.

Fa sorridere amaramente una delle “garanzie” chieste dalla Lega araba al presidente siriano: nessuna ritorsione verso i rifugiati che faranno rientro. Cosa che in realtà accade da tempo. L’obiettivo degli Stati che hanno accolto in questi anni i perseguitati politici siriani è di toglierseli dalle scatole: è quello che da tempo sta facendo il Libano (e che, peraltro, intendono fare alcuni stati europei), incurante del fatto che al ritorno in Siria li accoglieranno il carcere e la tortura.

Oltre alla questione dei rifugiati e alla drammatica situazione che vivono gli sfollati nelle zone del nord-ovest della Siria colpite anche dal terremoto, ci sono altre questioni che non lasciano tranquilli dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. Ne dà conto il Rapporto 2022-2023 di Amnesty International.

Intanto, il conflitto non è terminato. Come denunciato anche dalla Commissione internazionale indipendente sulla Repubblica araba di Siria (la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite), il governo siriano, sostenuto dalle forze armate russe, ha lanciato attacchi indiscriminati e attacchi deliberati contro infrastrutture idrauliche, campi per sfollati, allevamenti avicoli e aree residenziali nel nord-ovest del paese.

C’è poi il tema dell’impunità per le violazioni dei diritti umani commesse nello scorso decennio: il governo siriano ha continuato a sottoporre decine di migliaia di persone tra cui giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati e attivisti politici, a sparizione forzata, molti anche da più di 10 anni.

A febbraio e aprile, le autorità hanno parzialmente fatto luce sulla sorte di 1.056 persone sottoposte a sparizione forzata dall’inizio del conflitto, aggiornando la documentazione del registro civile ed emettendo dei certificati di morte. Questi stabilivano la data del decesso, ma non fornivano particolari sulle circostanze in cui queste persone erano morte. Le autorità non hanno restituito i corpi dei deceduti alle loro famiglie.

Ci sono stati poi alcuni provvedimenti sui diritti umani, dalla portata estremamente limitata.

Il 30 aprile il presidente Assad ha emanato il decreto legislativo n. 7 che ha concesso un’amnistia generale per i reati di “terrorismo”, ad accezione di quelli che avevano provocato morti. Le autorità non hanno precisato il numero dei detenuti che hanno beneficiato del provvedimento, ma organizzazioni locali hanno calcolato almeno 150 scarcerazioni.

Il 30 marzo è entrata in vigore la prima legge contro la tortura, che tuttavia non affronta l’impunità garantita ai militari e agli agenti della sicurezza e non prevede indennizzi per le vittime di tortura in vita o per le famiglie di quelle morte.

Secondo la sopraccitata Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, nelle prigioni si è proseguito a torturare i detenuti attraverso varie tecniche come “scosse elettriche, bruciature di parti del corpo e l’essere infilati dentro a uno pneumatico d’auto (dulab) e sospesi da terra per uno o entrambi gli arti per periodi prolungati (shabeh), pratica cui spesso si accompagnavano dure percosse inflitte con vari strumenti, come bastoni e cavi”.

Infine, ad aprile, in seguito alle crescenti critiche verso le politiche socioeconomiche del governo, è stata approvata una nuova legislazione sui reati informatici che ha stabilito aspre condanne e sanzioni amministrative contro chiunque critichi online le autorità o la costituzione.

Gli artt. 24 e 25 criminalizzano la “calunnia elettronica”, intesa come condivisione tra due persone, anche attraverso comunicazioni private, di informazioni calunniose o umilianti nei confronti di altri individui. Gli artt. 27, 28 e 29 prevedono pene dai tre ai 15 anni di carcere per la pubblicazione online di un contenuto che “mira o invita a cambiare illegalmente la costituzione”, “nuoce al prestigio dello Stato” e “indebolisce la posizione finanziaria dello stato”.

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