E’ uno schiaffo in faccia, diretto ai volti di tutti quelli che hanno perso o sono ancora alla ricerca di un proprio caro, la riammissione della Siria nella Lega araba, dopo oltre dodici anni di sospensione. A spingere per il suo reintegro sono anche gli (ex) amici del popolo siriano, come hanno amato definirsi in questi anni. In primis l’Arabia Saudita, facilmente accusata di finanziare l’Isis per poi, oggi, trovarsi invece dalla parte del dittatore siriano Bashar Al Assad.

Il reintegro nel consesso arabo è solo la prima fase di una normalizzazione che domani vedrà paesi democratici inchinarsi al dittatore di Damasco in nome dei soliti problemi con i quali tutte le dittature fanno leva nel ricatto perenne con sui si tengono in vita: immigrazione – che le dittature possono controllare; traffico di droga – la Siria è diventata il principale esportatore di captagon; finanziamento di gruppi terroristici – per anni il terrorismo mediorientale è stato eterodiretto da uomini in giacca e cravatta.

Ma prima che la normalizzazione dei rapporti avvenga anche con noi, Occidente moderno e che tutela a comando i diritti umani, è bene ricordare che l’interruzione di ogni nostro rapporto ufficiale con la Siria è avvenuto nel maggio del 2012, dopo la strage di Houla, vicino Homs, dove intere famiglie furono fatte a pezzi. E dove un solo bambino si salvò, mostrando il suo volto al mondo e testimoniando, con i suoi occhi, l’orrore che il regime siriano perpetrò nei confronti di decine di persone in quella città sperduta.

La politica europea, figurasi quella italiana, preme per riallacciare i rapporti con Damasco per scardinare, almeno in Medioriente, parte dell’asse russa. “Amnistia per tutto, in nome di una rottura dell’alleanza con Mosca” sembrano gridare dalle cancellerie europee. Ma quel giorno, il giorno in cui sarà conclamata l’impunità di Assad, sarà come aver concesso a Hitler di aver semplicemente fatto un errore, giustificabile, con la Shoah. E che la vergogna colpisca tutti.

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