di Paolo Bartolini, analista biografico a orientamento filosofico, saggista e poeta, e Sara Gandini

Segno della decadenza dei tempi, in questa accelerazione convulsa delle crisi multiple che minacciano l’umanità, è l’affermarsi, nel discorso dominante, della pretesa che le persone parlino restando dentro il perimetro delle loro specializzazioni. Anche un filosofo noto come Umberto Galimberti ha pensato di rimproverare il fisico Carlo Rovelli, colpevole di spingersi con le sue considerazioni pacifiste oltre i confini del proprio sapere, quello della fisica teorica. Avrà notato, chiunque si sia confrontato seriamente con i limiti e le violenze della propaganda (quella bellica e ancor prima quella inerente alla pandemia/sindemia Covid-19), quanto possa condizionare il dibattito pubblico un’informazione parimenti caotica e irregimentata.

Confusione, pregiudizi, svalutazioni ad personam infestano la cultura italiana – e non solo – rendendo difficile il cammino verso una effettiva democrazia cognitiva. Oscilliamo così tra gli estremi, velenosi oltremodo, di chi ritiene di detenere una verità totale da imporre a popolazioni considerate incapaci di intendere e volere, e di coloro che assolutizzano le opinioni superficiali maturate (si fa per dire) dopo lunghe sessioni sui social. Assistiamo, dunque, all’inquinamento delle falde dove l’acqua del sapere scientifico e, in senso più vasto, dei discorsi orientati a costruire verità condivise dovrebbe fluire senza ostacoli. Millenni di pensiero filosofico ci hanno insegnato che la verità non è una cosa, ma vive e si trasforma producendo effetti di coerenza, arricchendo la convivenza umana, stimolando nuove domande e ricerche (la verità nata con la filosofia non è mai una proprietà esclusiva, bensì un viaggio e una meta a cui tendere rinunciando a ipoteche sacrali di stampo autoritario). Le scienze sono avventurose, tutt’altro che astratte. Prese nell’intreccio di passioni, interessi, aspirazioni e vincoli concreti, si offrono alla nostra considerazione come una costellazione di pratiche e discorsi variegata.

È sul versante etico-politico che il gioco delle scoperte e delle verità più credibili in un certo momento storico esige di incarnarsi, producendo azioni armoniche e non certo scomuniche e feroci persecuzioni verso i “non allineati”. Questo, purtroppo, è accaduto e sta accadendo sotto i nostri occhi. La verità, nella società della disinformazione di massa, si riduce a quella che i più forti riescono a veicolare catturando milioni di persone attraverso i loro dispositivi di influenza. Non dimentichiamo come sono stati trattati gli scienziati (in possesso di titoli prestigiosi) che durante la sindemia invitavano, a partire dai dati a disposizione, a focalizzare gli interventi urgenti solo su determinate fasce di età e di rischio. Una criminalizzazione simile tocca oggi agli studiosi che esplorano le concause di medio-lungo periodo capaci di illuminare gli sviluppi dell’odierna guerra in Ucraina e di smascherare la pericolosità di una contrapposizione semplicistica tra Bene e Male. Dove abita la verità, se anche persone assai quotate nella loro professione vengono escluse di principio dal consesso degli aventi diritto di parola, poiché apertamente in dissenso con la narrazione prevalente?

Non dovrebbe stupire che, di fronte a questioni decisive per la vita delle persone, una società ormai ridotta a mercato e soggetta a forme di sorveglianza e controllo sempre più penetranti abbia prodotto polarizzazioni assurde, fomentando un pensiero classista e antipopolare, secondo il quale: “Non hai diritto di aprire bocca, non sei un esperto”. Ma gli “esperti” li scelgono loro. E poi le decisioni che hanno ricadute sui cittadini dovrebbero essere criticabili, rivedibili, confrontabili con i dati che continuamente emergono nel campo della ricerca avanzata. Detto questo, come suggerito in un libro recente scritto al crocevia tra filosofia, politica e critica sociale, il passaggio dalla modernità all’era complessa implica un ripensamento radicale delle questioni collettive, che rigetti le soluzioni unilaterali e semplicistiche.

Il fatto che non esista alcuna verità fuori dal tempo e dallo spazio non ci destina necessariamente al relativismo e alla confusione delle idee. Piuttosto si tratta di restituire alla verità la sua relazionalità, il fatto di incarnarla in modi di essere e agire che ce ne rendano degni. Ecco perché chi ci mette la faccia, come ha fatto recentemente Rovelli e come fanno altre/i nel silenzio dei media di regime, sta testimoniando qualcosa della verità a cui non possiamo rinunciare. E nel farlo onora il meglio della nostra civiltà, ciò che merita di essere tramandato: il coraggio di non riposare passivamente sulle convinzioni acquisite e la scelta di metterle in discussione per il bene comune. Per questo l’art. 21 della nostra Costituzione va non solo difeso, ma attuato rigorosamente, affinché il racconto delle élite possa essere disarticolato e riconosciuto in tutta la sua parzialità.

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